Friday, March 31, 2006

sfida tra poteri

Per quanto il piccolissimo Moctha, due anni appena, sia stato cresciuto tra mille attenzioni e paure (dovute principalmente alla minaccia del mastino del Re), non si può nulla di fronte all'intraprendenza e alla vivacità di un'infante. Moctha si è dimostrato sin da subito un bambino molto simile ai genitori: indipendente ed estroverso; genitori che però quasi non conosce e di cui ignora l'identità. Ed anche Moctha, come ogni vivace bambino che si rispetti, è capace di allontanarsi dalle sue "madri", incurante dei pericoli che corre. Perché in effetti Moctha ha una famiglia ben strana: la madre naturale quasi non la conosce ma in compenso è accudito e cresciuto da altre due donne: una giovane ed una anziana che lo stanno allevando libero ed anche un po' più selvaggio di quanto non accadrebbe ad un suo coetaneo che viva, come lui, sotto l'egida del Dun di Mastro Felab.
Oggi è uno dei tanti giorni nel quale Rhian e Feilhelm l'hanno portato con loro nella foresta: le due donne devono raccogliere le erbe di cui sono grandi conoscitrici; ma diversamente tutti quei giorni oggi Moctha si è allontanato un po' troppo mentre sia Rhian che la sua maestra sono convinte che il bimbo si trovi con l'altra; quando le donne si accorgono di quel che è successo è passata ormai più di un'ora e le ombre del pomeriggio si stanno allungando...
Moctha intanto ha camminato a lungo nel bosco, ed è un po' spaventato a dire il vero, perché per quanto indipendente possa essere rimane pur sembre un bambino di pochi anni. Alla fine, sfinito e quasi in lacrime per la paura, il bimbo viene ritrovato da una coppia di animali: due lupi che, dopo averlo annusato a dovere, piuttosto che decidere di mangiarselo, hanno provveduto a cullarlo. La lupa, un bell'esemplare dal pelo grigio, ha leccato con dolcezza il volto del bimbo che, dopo poco, si è addormentato accoccolato sul suo morbido pelo. Il maschio invece continua a camminare nervosamente intorno alla compagna e al cucciolo d'uomo, annusando di continuo l'aria.
Una giovane ragazza sbuca finalmente dal fitto della foresta e vedendo il piccolo addormentato sulla pancia della lupa gli si avvicina senza troppo indugiare. La giovane è bella, ha i forti capelli scuri, lisci e brillanti.
Il lupo comincia a ringhiare e mostrare i denti.
La ragazza si ferma a pochi passi dal bambino e si china per osservare meglio la scena, poi con un sorriso un po' beffardo si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro.
"Stai tranquillo lupo, non te lo porterò via..." dice la giovane.
"Sarebbe l'ultima cosa che faresti" minaccia la voce gutturale di colui che poco prima era il lupo dal manto rossiccio che le ringhiava contro.
"Attento Ferdrad, non sai con chi parli oppure stai dici cose che non saresti in grado di mettere in pratica. In ogni caso trovo piuttosto curioso trovare il piccolo in tua compagnia. Le sue madri mortali l'hanno abbandonato?"
"Sono qui vicino. Ma avevo percepito anche il vostro odore. Cosa avete intenzione di fare?".
"I nostri affari ci appartengono uomo-lupo, anche se non nego che riprendersi questa rivincita sarebbe una bella soddisfazione. Siete stati fortunati a incontrare me e non la madre...".
Mentre la giovane parla, la lupa dal manto grigio, con fare protettivo, inizia a leccare il volto del piccolo Moctha.
"Questo bambino è protetto da un potere ben più grande del mio. Non hai notato che il Destino lo sta facendo allevare da tre donne: una giovane, una madre ed una vecchia, che si contrappongono al vostro potere?".
"Ferdrad, non parlare di cose che non capisci" risponde svogliata la giovane ragazza "questa discussione mi sta annoiando. Parliamo di te, uomo-lupo, se sei davvero saggio come ostenti cosa sai dirmi del tuo Destino?".
Il giovane uomo, nudo senza vergogna alcuna di fronte alla splendida ragazza che ha di fronte, rimane per un attimo interdetto. Un brivido gli attraversa la schiena, ricoperta da un'innaturale peluria, fulva come i suoi capelli e la sua barba ancora troppo morbida per essere quelle di un uomo.
"Non rispondi?" dice la giovane con un sorriso mentre si volta di nuovo verso il piccolo Moctha "Eppure non è una domanda tanto difficile, Ferdrad. Tu assomigli così tanto a tuo padre. Tra i tre fratelli sei quello che gli assomiglia di più, nel corpo e nello spirito. Tua sorella diventa ogni giorno più simile a vostra madre ed Emeroth è uno spirito libero che percorre un sentiero influenzato da molte forze ma sopratutto dalla sua indomita forza di volontà. Tu invece sei proprio come tuo padre: vivi in balia di un Destino più grande di te. Ed infatti egli pagherà un tributo che non si aspetta...".
Ferdrad rimane ancora una volta in silenzio. Non si aspettava che la discussione potesse prendere questa piega. Poi con un colpo d'occhio non può fare a meno di notare due sguardi di donna provenire dal bosco: sono gli occhi di una vecchia, dallo sguardo distaccato e sornione e quelli di una donna, illuminati da una rabbia fredda. La lupa, intanto, con fare apparentemente molto disinvolto, come estranea a quello che le sta accandendo attorno continua lentamente a leccare il bambino, lavandolo con cura, anche i capelli.
"Hai forse perso di nuovo le parole lupo?" lo stuzzica la giovane "eppure prima ti piaceva tanto parlare di Destino, metterti in bocca quella parola credendo che avesse un qualche effetto su di noi" poi la giovane ride, di una risata argentea, venata da un piccola dose di crudeltà.
"Puoi provare a spaventarmi quanto vuoi, ma io so che anche voi siete soggette ad altri poteri: non avete potuto imporvi quando la Regina Ide ha deciso di revocare il suo patto".
"Ma ora né lei, né nessun'altra delle sue madri è qui a reclamare quanto è loro, quanto hanno perso nel bosco..." dice la voce della donna, con tono di sfida, facendosi avanti.
La lupa intanto ha finito di leccare il piccolo Moctha.
"Cosa vorresti dire ora?" chiede Ferdrad.
"Che se lo volessimo potremmo riprenderci quanto ci era stato promesso e poi negato! Lui" e la donna indica in direzione della lupa "doveva essere nos... dove l'hai nascosto misero mezzosangue?".
La donna e la giovane guardano in direzione della lupa grigia, ancora accucciata a terra, ma da sola. Il piccolo Moctha non c'è più. L'animale guarda nella loro direzione, con una strana luce nei suoi occhi tondi.
"L'ho fatto celare alla vostra vista, voi non avete potere su Eire..." risponde Ferdrad.
"Tu sei un pazzo!" dice furibonda la donna "fai cose di cui non comprendi a pieno le implicazioni".
"Forse, ma so che anche stavolta non lo potrete avere" risponde Ferdrad, dopo di ché volta loro le spalle e nell'arco di pochi istanti l'uomo non c'è più e il figlio della luna prende posto alle spalle della propria compagna.
"Ce ne andiamo, lupo" interloquisce finalmente la vecchia posando una mano ossuta sulla spalla della donna "ma ricorda che nonostante le nostre furbizie il Destino attende tutti...".

Monday, March 20, 2006

gae bulga

Lungamano intrattiene i suoi ospiti mortali con un'ospitalità impeccabile. Il figlio di Dana conduce la conversazione raccontando diverse storie del suo popolo; storie che spesso hanno molte attinenze con le storie conosciute da Felab e suo figlio Emeroth, ma che se ne discostano anche in modo sostanziale, mettendo in luce, ovviamente, le gesta del suo popolo. Emeroth e Felab sono comunque evidentemente sulle spine, si aspettano un raggiro. Intanto i piccoli servitori di Lungamano si danno da fare per servire il vino al loro padrone e agli ospiti. Al momento del brindisi, quando Lungamano alza la coppa alla salute dei suoi ospiti arriva finalmente il tanto atteso Cacciatore dei Boschi.
"Fratello!" esordisce entusiasta Lungamano ed Emeroth e Felab, nel sentire tale saluto, non possono fare a meno di scambiarsi uno sguardo denso di significato.
Il Cacciatore è un essere più alto e robusto di Lungamano, si muove in modo meno aggraziato ma più deciso. Incede verso il fratello a grandi passi seguito da uno stuolo di piccoli servitori dall'aspetto animalesco (ma non si capisce se vestano di pelli o se tali pelli siano le loro). I servitori di Lungamano portano uno scranno decisamente più regale dei piccoli panchetti su cui siedono gli altri ospiti e il Cacciatore vi si accomoda con fare molto naturale e rilassato, appoggiandosi su di un gomito e prendendo la coppa che gli viene offerta dal fratello.
"Il famoso Cacciatore dei Boschi!" si lascia sfuggire Mastro Felab: dopo tanta attesa finalmente ha l'opportunità di parlarci. Ma la sua esternazione non viene presa molto bene dai due elfi che lo fulminano, disgustati evidentemente da quello che giudicano un intervento fuori luogo. I due fratelli continuano a discutere come fossero soli, mentre i servitori portano un arrosto di cervo. Finalmente il Cacciatore rivolge la propria attenzione verso il fabbro e, senza tante presentazioni, gli chiede come mai lo stesse cercando.
"Il Cacciatore dei Boschi è molto popolare anche tra la mia gente" esordisce Felab, poi volendo prendere la questione alla larga: "Questo è Emeroth, mio figlio, che seppure sia ben lungi da pareggiarvi in bravura vanta già prede importanti nella caccia".
Il Cacciatore, illuminandosi sentendo quelle parole, si raddrizza sul suo scranno e fa portare un arco da offrire ad Emeroth. Quando uno dei servitori consegna l'arco al giovane, Emeroth nota che è disarmato e - dallo sguardo del Cacciatore - è ovvio che la prima prova consiste nel riuscire ad armarlo. Emeroth però riesce nell'impresa senza difficoltà e quando il servitore gli porge tre frecce, Felab nota subito che le punte sono senz'altro di sua fattura.
"Bene! Ti sfido dunque" dice alzandosi il Cacciatore e incamminandosi all'esterno. Tutti seguono l'elfo e questi, una volta fuori chiama a gran voce uno dei propri servitori: "Firnuil!". Uno dei piccoli esseri che lo seguono sussulta nel sentire il proprio nome.
"Signore?" domanda timoroso il servitore che ha lunghe orecchie fulve, simili a quelle di una lepre.
"Fuggi!" ordina il Cacciatore e Firnuil non se lo fa ripetere due volte, si accuccia a terra e comincia a correre a quattro zampe facendosi simile alla lepre alla quale assomiglia.
Il Cacciatore ed Emeroth si lanciano al suo inseguimento, ma Emeroth rimane subito indietro: l'abilità e la fluidità dei movimenti dell'avversario è sicuramente fuori dal comune.

Rimasti soli, Felab e Lungamano, fanno ritorno nella casa di quest'ultimo.
"Sei stato furbo a portare l'attenzione di mio fratello sulla caccia, Felab. Ma è un gioco pericoloso: se Emeroth vince, il Cacciatore si arrabbierà certamente, ma se perde verrà trasformato in uno dei suoi servitori". Il sangue di Felab gli si gela nelle vene ma ormai non può pià fare niente per suo figlio se non augurarsi che sia abile e capace come sempre ha dimostrato in questi anni. D'altrocanto il fabbro comincia a subodorare qualcosa che gli puzza. Lungamano però non torna a sedersi, ma conduce Felab nel sottosuolo, facendolo passare attraverso l'incavo di uno degli alberi che sostengono la propria casa fino ad arrivare in una fucina. Mastro Felab si aspettava una simile mossa e nonostante si fosse preparato a vedere qualcosa che l'avrebbe lasciato ammirato non riesce a rimanere di stucco di fronte alla magnificanza della fucina dell'elfo.
"Non è sempre quello che hai desiderato?" gli dice Lungamano con un gesto della mano dove stringe ancora la propria coppa di vino.
Il fabbro non può fare a meno di ammirare i fuochi accesi in vari punti, tenuti alla temperatura giusta da uno stuolo di servetti che si danno da fare nonostante non ci sia nessuno a guidarli. Appesi alle pareti ci sono gli strumenti più belli che Felab abbia mai visto e certi altri invece non li conosce neppure. Martelli e incudine sono di un metallo tanto nero e lucente da non sembrare veri. Felab è affascinato ed in cuor suo comincia a temere di non essere capace di rinunciare alla proposta che l'elfo sta per fargli. Poi, facendosi forza: "Che senso avrebbe il mio lavoro se poi non potesse essere ammirato dai miei pari? E poi se questa è la tua fucina perché in tutti questi anni hai richiesto i miei servizi?".
Ma l'elfo, stizzito, evade la domanda incamminandosi verso uno dei forni, il più rovente. Al suo interno vi è un curioso pezzo di metallo, splendente per il calore; nonostante l'altissima temperatura, il metallo non pare accennare minimamente a fondersi.
"Vedi questa?" dice l'elfo con un certo orgoglio nella voce "la chiameranno Gae Bulga. Dicono che sarà forgiata da un uomo amico dei Thuatha de Danaan. Un mortale diventato immortale grazie al vino degli elfi" conclude Lungamano girandosi tra le dita la propria coppa e bevendo un altro sorso di vino.
Felab, con un sussulto al cuore, ripensa al brindisi di poco prima dell'arrivo del Cacciatore e la sua espressione si fa dura e arcigna. Poi con la voce fattasi bassa dall'ira:
"E' una proposta o un tranello Lungamano? Perché se fosse un tranello forgerei quella spada solo per tagliartici la gola"
"Sarà un lancia" dice noncurante l'elfo osservando il colore del vino.
"Penetra le carni con la stessa efficacia" conclude il fabbro.

Intanto Emeroth, nel bosco, ha perso di vista la propria preda: la corsa del Cacciatore è troppo più veloce della sua e ben presto si è trovato solo nel bosco, con solo il suo istinto di cacciatore a guidarlo. Dopo poco si ritrova fuori dal fitto della vegetazione, in alto su di un crinale e lontano da lui, senza che questa si sia accorta della sua presenza - la sua preda. Emeroth è emozionato da tanta fortuna, ma non fa in tempo ad incoccare al propria freccia che, in basso, sbuca anche il suo avversario. L'elfo ha già l'arco pronto, da cacciatore esperto qual è, e si accinge a scoccare il colpo. Emeroth ha poco tempo per pensare e piuttosto che concentrarsi sulla preda e finire in pareggio (perché certamente il cacciatore non mancherà il colpo) decide di rischiare il tutto per tutto e mirare alla freccia del cacciatore. Forse a causa della fattura dell'arco e delle frecce o forse a causa delle sue particolari doti, il giovane guerriero riesce nella sua impresa e a pochi metri dall'inconsapevole preda si sente uno schiocco di frecce che si scontrano in volo. La lepre, spaventata dal rumore, scappa via nella vegetazione.
Il Cacciatore alza lo sguardo allibito.
"Hai fatto fuggire la preda!" dice osservando Emeroth.
"E' o non è una gara?" conclude il giovane mentre scivola giù dal pendio pietroso inseguendo la lepre. Dopo qualche altro minuto di inseguimento finalmente Emeroth ritrova il servitore-lepre affannato e che lo guarda dal basso con gli occhi spaventati.
"Fuggi!" dice il servitore.
Emeroth rimane stupefatto dal sentirsi rivolgere quel consiglio.
"Fuggi via. Comunque finisca non puoi che perdere: ti farà diventare uno dei suoi servitori" continua la lepre mentre si comincia ad udire un fruscio nel sottobosco.
Emeroth capisce subito di trovarsi in mezzo ad una trappola: se uccide la preda allora il Cacciatore pretenderà che lui prenda il posto del suo servitore per ripagargli il danno, ma se invece lascia vincere il suo avversario allora questi pretenderà da lui la stessa cosa come trofeo. Emeroth lascia cadere il proprio arco e si avventa sulla lepre a mani nude. L'animale è stupefatto dalla reazione dell'uomo e dopo poco è saldamente trattenuto dalle sue mani.
Quando il Cacciatore sopraggiunge con un sorriso nel volto, sicuro di aver preso in castagna Emeroth, quest'ultimo gli mostra la preda.
"E' ancora viva!" dice mentre il sorriso gli si spegne sulle labbra.
"Certo! L'ho catturata. Ora è mia" risponde sicuro di sé Emeroth "Come del resto la pelle del Cinghiale Bianco..." rincara. Il Cacciatore fissa il proprio sguardo negli occhi di Emroth:è al tempo stesso ammirato e irritato per aver perso. Poi si volta e i due ritornato alla casa di Lungamano.

Nei mesi che seguono si sparge la voce Mastro Felab è scomparso. Si intracciano molte voci sul suo conto ed ovviamente molti danno la colpa ai rapporti del fabbro con i Thuata de Danaan. In sua assenza Ronan, in qualità di apprendista di Felab, prende in carico il lavoro della fucina. Emeroth è silenzioso e lo lascia fare, ma un giorno i due si trovano insieme nella fucina e la discussione si fa subito tesa. Ronan vuole capire se Emeroth ha qualcosa in contrario a che sia lui, d'ora in poi, a gestire la fucina ed Emeroth, senza troppi giri di parole, gli fa capire che l'apprendista può usare la fucina, ma non reclamarla come propria. Tra i due non c'è mai stata molta simpatia, ma ora l'astio è più che mai palese. Mentre i due discutono animatamente arriva anche Feilhelm, senza quasi essere notata.
"Puoi usare la fucina di mio padre" ripete Emeroth "ma sarà tua solo quando troverai il suo corpo". Ronan si sente sfidato ma pare piuttosto sicuro di sé, Feilhelm però - intromettendosi nella discussione - rincara la dose: "Ronan, l'uso della fucina non farà di te il capo di questo Dun".
"Ma Emeroth è il figlio del Re!" fa notare Ronan. In effetti l'educazione di Emeroth è nelle mani di Connor e così anche la sua fedeltà, nonostante gli anni di assenza dall'Emayn del Re.
"Emeroth è libero di tornare alla sua famiglia, ma ricordati che egli non è l'unico figlio naturale di Felab". Feilhelm, neanche troppo velatamente, sta ovviamente accennando a Rhian. Ronan, con le spalle al muro e sentendosi solo contro tutti non può far altro che abbandonare la stanza.
"Ed ora Emeroth dimmi... cos'è accaduto davvero a tuo padre?"

Mastro Felab intanto si sta abituando pian piano alla sua nuova fucina. E più il tempo passa più non riesce a capire come avesse fatto finora a lavorare con i suoi miseri strumenti umani. Il suo cuore non riesce a non esultare per i risultati di grande qualità che riesce ad ottenere. Ma la sua gioia è macchiata dal rimorso di aver abbandonato i suoi figli, di aver lasciato in sospeso tante cose... inoltre i rapporti con Lungamano sono comunque molto tesi.
Un giorno l'elfo torna nella fucina in compagnia del fratello, il Cacciatore dei Boschi.
"Allora mastro Felab? Come ti trovi nella tua nuova fucina?" chiede Lungamano.
Il fabbro, per protesta, abbassa il suo martello e smette di lavorare.
"Non credere di essere il mio signore Lungamano" risponde stizzito Felab.
"Non lo sono" gli risponde l'elfo "... piuttosto siamo tutti strumenti nelle mani del Destino" dice sottovoce, poi guarda verso il forno dove il metallo che un giorno sarà Gae Bulga è sempre compatto e lucente, quasi indifferente al fuoco.
"Perché dici questo fabbro?" chiede infine Lungamano.
"Ero un signore tra i miei pari ed ora sono tuo prigioniero"
"Prigioniero? No mastro Felab, non sono io a trattenerti, se vuoi sei libero di andare. Se è questo quello che il tuo cuore vuole davvero".
E nonostante la voce grossa e l'orgoglio ferito dall'essere caduto in un tranello, mastro Felab sa che Lungamano ha ragione: i desideri del suo cuore lo trattengono in questo posto. Poi Lungamano si fa da parte e salutando con un semplice cenno della mano riprende le scale, lasciando il Cacciatore libero di parlare con il fabbro.
"Mi volevi parlare?" chiede il Cacciatore incuriosito "Mio fratello mi ha detto che sei tu ad aver forgiato la punta delle mie freccie".
"Sì, molto di ciò che porti proviene dalle mie fucine. In ogni caso volevo parlarti della tua muta di cani. Tra loro vi era un cane molto bello, il più forte, che consideravi come un figlio".
"Sono affezionato a molti dei miei cani" conferma il Cacciatore.
"Ma uno in particolare si addice a questa descrizione. Parlo di Lonan, il mastino che hai dato a Re Connor. Non ti manca?"
A sentir parlare di Lonan, il Cacciatore dei Boschi si fa più attento.
"Anche se mi mancasse non posso farci nulla. L'ho dato in dono, ora non posso averlo indietro".
"Una donna mi ha detto però di aver parlato con quel cane in una notte di 6 anni fa. E il cane disse chiaramente che tu eri ancora il suo padrone" riprende Felab.
"E con questo?".
"Se volete che forgi Gae Bulga voglio quel cane a guardia di questa fucina!".
Il Cacciatore, di fronte alla richiesta di Felab, rimane interdetto e silenzioso, poi la discussione è interrotta dal rumore di passi che scendono dalle scale. Subito dopo fa il suo ingresso una bambina all'incirca di 8 anni.
"Padre?" chiama la bimba avvicinandosi al Cacciatore. Felab capisce immediatamente che quella bambina altri non è che la primogenita di Re Connor: non fu sbranata dal mastino, ma portata al Cacciatore come pagamento per aver ceduto il mastino al Re.
"Come un figlio era per te il tuo mastino. Ed un figlio hai avuto..." chiosa Felab.
"Una figlia" precisa il Cacciatore.
"Il cuore di un padre non fa differenza tra maschio e femmina".

Saturday, March 11, 2006

un debito è saldato

"Ottimo lavoro Mastro Felab!" esclama compiaciuto Olkan, il giovane figlio di Odran, che ormai anni addietro aveva commissionato a Felab uno scudo per la sua famiglia. In questi anni Felab è stato molto impegnato con la propria spada, al punto di aver quasi scordato la commessa di Odran. Quando anche il committente aveva ormai perso le speranze di ricevere quanto richiesto ecco che il fabbro gli ha comunicato che l'oggetto era finalmente pronto. L'iniziale diffidenza per il tempo passato fugge subito dallo sguardo di Olkan non appena questi può ammirare il risultato.
"Lo devi provare per essere certo della qualità del lavoro" dice Felab sicuro di sé, girando lo scudo e porgendoglielo in modo che lo possa indossare. Olkan alza la guardia ed è visibilmente soddisfatto.
"Leggero e robusto..." commenta l'uomo.
"No, dico di provarlo davvero" continua Felab "posso avere un'arma?".
I servitori di Olkan si guardano e al cenno del loro padrone questi recuperano l'arma del giovane che poi si occupa di sfoderarla e consegnarla nelle mani del fabbro.
"Che ne pensi mastro fabbro?" chiede Olkan riguardo alla spada, evidentemente un dono del padre di cui va fiero. Ma l'esperto fabbro non riesce a contenersi e impugna l'arma con sufficienza, senza rispondere, poi - avvisato Olkan dell'attacco in arrivo - colpisce lo scudo per ben due volte. Lo scudo è semplice da manovrare ma soprattutto dimostra una robustezza fuori dal comune e non si graffia neppure.
"Siamo venti per uno scudo, ma ce ne andiamo con un artefatto! L'attesa è stata lunga, ma ne è valsa la pena" dice Olkan e Felab sorride compiaciuto.
"Ormai sta scendendo la sera, vi prego di restare per la notte come miei ospiti" dice Felab onorando la tradizione dell'ospitalità ed Olkan ovviamente accetta, onorato dell'invito.

L'occasione è buona per parlare degli ultimi avvenimenti che stanno accadendo nei Dun vicini. Gli stranieri raccontano che i Pitti si sono fatti sempre più aggressivi: uccidono uomini e bestiame senza pietà, rapiscono le donne, si nascondono nelle foreste ed attaccano a sorpresa durante la notte. E tutto questo senza una ragione apparente, o almeno mastro Felab e suo figlio Emeroth non riescono a capirla né farsela dire.
"Stiamo andando a chiedere aiuto a Re Connor" dice Olkan "deve aiutarci a combattere contro quei selvaggi; voi siete suoi amici, vero? Si dice che tuo figlio fosse uno dei suoi uomini..." si informa guardando Emeroth, ma prima che questi possa rispondere alcunché mastro Felab risponde puntualizzando.
"Infatti mio figlio è al servizio del Re".
La conversazione poi si sposta sulla Regina Ide. Pare che tornata dalla sua lunga assenza abbia contribuito al governo del Emayn infondendo forza e coraggio nel suo consorte. Anche Lonan, il mastino, è ancora al fianco del Re e le voci a suo riguardo si sono moltiplicate: si dice che sappia distinguere quando parla un bugiardo e che se avesse la parola consiglierebbe certamente il Re giacché gli manca solo il dono della parola...

L'indomani all'alba gli ospiti sono pronti a partire. Montano a cavallo e salutano cordialmente Felab e la sua famiglia. Inaspettatamente, all'entrata del Dun si presenta Lungamano. Felab è contraddetto: il figlio di Dana non si era mai presentato in modo così sfacciato e in pieno giorno; in ogni caso il fabbro fa finta di nulla e continua a conversare con i suoi ospiti, però quando Lungamano si avvicina attacca subito discorso con loro: "Già in partenza, Olkan?".
Il giovane si volta verso di lui, con lo sguardo perplesso. "Sì... ci conosciamo?".
Ma un'intenso (e corrucciato) scambio di sguardi tra Felab e Lungamano mette fortunatamente a tacere quest'ultimo.
"Andate, andate..." conclude Lungamano con stizza e Felab riprende la sua conversazione: "Dite al Re che siete passati da qui, e salutatelo da parte mia".

"Hai lavorato per loro!" dice Lungamano stizzito ed irritato per essere stato zittito. "E' così che sprechi il tuo tempo e le tue energie? E il nostro patto?". La fata si riferisce all'accordo che ha con Felab riguardo all'incontro con il Cacciatore dei Boschi. Lungamano in questi anni ha sempre detto che l'incontro non era una cosa semplice da organizzare ed ha sempre rilanciato il prezzo dell'incontro chiedendo qualcosa in più: dopo le briglie ci sono stati un collare per cani, degli speroni, la punta di una lancia, delle frecce ed ora un pugnale da caccia.
"Non so se posso darti quello che mi chiedi Lungamano" risponde Felab "Sai, noi uomini abbiamo l'uso di onorare gli impegni presi".
"Ma certo" risponde Lungamano "anche noi. E sia io che tu stiamo onorando i patti, cosa stai dicendo?"
"Sono sei anni che devo incontrare il Cacciatore!" sottolinea Felab.
"Mi sto adoperando. Non penserai che si possa incontrare un individuo del genere come si richiede la presenza di un servo?".
"Forse potremmo parlare di un incentivo per te a concludere questa commessa, qualcosa che mi puoi dare fino a quando non avrò ottenuto ciò che voglio".
Lungamano appare stuccato dalle parole di Felab ma è disposto a sentire che cosa propone il fabbro.
"Ormai mi devi molto: rivelami il tuo Vero Nome e sarò sicuro che stai facendo il possibile". Lungamano osserva Felab con occhi ostili.
"Ci penserò..." conclude prima di voltarsi ed andarsene. Nel frattempo nella fucina entra anche Emeroth e Lungamano lo guarda come se lo incontrasse per la prima volta. Cosa gli stia passando per la mente però non è chiaro.

Rhian in questi anni è cresciuta molto e si è fatta donna. Una giovane donna intelligente e bella, che ha imparato molto dagli insegnamenti della sua mastra, la Madre delle Erbe Feilhelm. Questa si è molto prodigata nell'istruzione della sua allieva ed ora è fiera della ragazza, anche se un po' preoccupata perché, nonostante i suoi 22 anni lei non sia ancora legata a nessuno.
Feilhlem in questi ultimi anni ha avuto il suo bel daffare dietro all'istruzione di Rhian e a piccolo Mochta. Come se non bastasse molti sono segni di morte che continuano ad incrociare la sua strada dopo essersi inimicata le Morrigan e il Mastino del Cacciatore: rumori nella notte, come di qualcuno che si aggira nei dintorni della casa, un conglio ferito che l'ha seguita sino all'uscio per poi morirvi davanti, dei panni (di una Bhanshee?) abbandonati sulla riva del torrente.
Feilhelm è concentrata in questi ed altri pensieri, mentre è nel bosco insieme a Rhian per raccogliere delle erbe. A distrarla però è qualcosa di nuovo indosso alla sua pupilla. Rhian porta appuntato al mantello una spilla di argento dalla fattura eccellente. Al centro del fregio celtico vi è una spada che si staglia sullo sfondo di argento bruciato. "Quella spilla ha qualcosa di particolare" si dice Feilhelm, decisa ad andare fino in fondo alla faccenda. Con fare casuale fa cadere apertamente il suo sguardo sulla spilla, poi sorride a Rhian.
"E' carino?" chiede in tono complice, alludendo ovviamente a colui che le ha fatto questo dono. Rhian arrossisce e, ridacchiando, farfuglia qualcosa riguardo ad un tipo misterioso incontrato casualmente nel bosco. Feilhelm cerca di scoprire qualcosa in più al riguardo, ma c'è poco da sapere: pare che il misterioso individuo la seguisse, ma non volesse farsi notare.
"E' davvero molto bello, madre" dice Rhian con voce sognante. Feilhelm capisce subito che potrebbe trattarsi di qualcuno appartente al popolo fatato ed è preoccupata.
"Ti ha fatto un regalo molto impegnativo... come hai detto che si chiama?"
"Sleibhyn è il suo nome" risponde Rhian.
"Devi fare attenzione, potrebbe essere pericoloso" avverte Feilhelm ma senza particolare presa su Rhian.

Giorni dopo Feilhelm chiede a mastro Felab di ospitare un banchetto dove sia possibile ascoltare qualche storia dai bardi: il suo obiettivo è dissuadere Rhian dai suoi pensieri ed attirare la sua attenzione verso altri orizzonti. La donna è preoccupata ma cerca di non darlo a vedere.
"Non mettere la spilla stasera" avverte Feilhelm "attirerebbe l'attenzione di tutti".
Rhian è poco propensa ma alla fine, di fronte all'idea di dover renderne conto, si convince e la consegna alla sua maestra perché la nasconda. Appena Rhian posa la spilla nelle mani di Feilhelm la donna ha una visione.
Vede chiaramente un uomo, bellissimo, che teneremente le consegna nelle mani una spilla di fattura eccelsa e le rivolge un sorriso.
"La mia spilla!" dice piena di emozione Feilhelm nella visione, poi ritorna in sé.
Turbata dalla visione, esce di casa per nascondere la spilla tra le pietre del muretto a secco che delimita la sua capanna. Feilhelm sospetta che ciò che ha visto siano ricordi suoi, obliati dalla mente. Che le Morrigan le abbiano detto la verità quella notte di Belthain di sei anni addietro?

Tanai, ormai anche lui si è fatto un uomo, visita spesso il Dun di Mastro Felab e quella sera Feilhelm gli ha chiesto di raccontare storie riguardanti il popolo fatato, storie nelle quali gli uomini sono vittima dei loro raggiri. In particolare Feilhelm ricorda al bardo la storia di un Thuatha de Danaan che rapisce il cuore di una giovane. Forse il tentativo è decisamente spudorato ma la serata, animata così da quei racconti di storie tragiche, prende una piega un po' dimessa.

L'atmosfera non migliora certamente quando un servitore chiama mastro Felab e gli dice che un mendicante è alle porte e chiede di entrare. Felab vede dunque Irial sulla soglia. L'uomo raramente si presenta in pubblico, consapevole dell'effetto che abbia sulla gente, ma il fabbro lo lascia accomodare e preso Tanai al suo fianco si siede al tavolo con Irial mentre intorno a lui altri bardi continuano a raccontare languide storie di amori delusi.
Irial è muto, ma è capace di farsi comprendere bene: vuole partire. Felab gli chiede perché e poi, di fronte alla complessità dei gesti dell'uomo si fa portare una tazza di farina che poi getta sul tavolo. Il mendicante comincia a disegnare sulla farina, spiegando le sue ragioni. Irial vuole andare alla ricerca di suo fratello e Felab, di fronte alla perplessità di Tanai, confida al bardo che l'uomo che incontrarono anni addietro e che scacciò il corvo in malomodo era in realtà il fratello scomparso Iriol. Dai disegni di Irial, Tanai e Felab comprendono che Iriol in realtà è protetto dal Signore dei Corvi, dalla Dea della Guerra e della Morte. Protetto e soggiogato da lei.
Poi il mendicante disegna una ciotola di cibo e fa capire ai suoi interlocutori che coloi che mangia da quella ciotola potrà vedere i morti. Irial vuole rompere il legame tra la Dei della Morte e il fratello e liberarlo così dalla sua dannazione.
Ma mentre i due cercano di capire qualcosa di più sopraggiunge un altro servitore che avverte Felab che un'altro ospite lo attende alla porta. Felab, che non vuole essere interrotto, delega il figlio Emeroth di occuparsi del nuovo venuto, ma dopo poco il giovane torna indietro.
"Vuole vedere te, padre" e dalla faccia di Emeroth, Felab capisce subito che si tratta di Lungamano.

Fuori dalla sala del banchetto fa freddo e il vento soffia forte. Lungamano osserva il suo interlocutore e poi con tono freddo: "Sono venuto a saldare il mio conto, mastro Felab. E' per stasera stesso o non lo sarà per molti anni".
Felab teme un tranello e dopo tutte le storie narrate al proposito non riesce a non essere intimidito da quella proposta. Cerca di non mostrare timore ma rimane sulla soglia zitto e fermo.
"Sì o no?" incalza Lungamano.
"E sia!" risponde Felab. "Emeroth, accompagnami ti prego" poi avvicinandosi al figlio "se stanotte non dovessi tornare da questo viaggio, vai nella mia fucina e prendi quello che ti spetta". Felab è attanagliato dalla paura e un certo cattivo presentimento gli impedisce di incamminarsi nonostante Lungamano lo aspetti. Il fabbro si mette il proprio mantello e il suo cuore cova pensieri di morte, solo la presenza calma e sicura di Emeroth gli dà il coraggio di partire, seppure tra mille dubbi e sospetti.
Arrivati al limitare del bosco, Lungamano si volta verso i due uomini e gli porge l'estremita di una fune.
"Tenetela saldamente. Non lasciatela per nessun motivo!"
Padre e figlio si scambiano un'occhiata allarmata poi afferrano la corda decisi a non farsela sfuggire. Il viaggio attraverso il bosco ha così inizio. Nonostante siano le zone dove Felab ed Emeroth hanno sempre vissuto è un bosco diverso e straniero, dove soffia un vento ostinato che gela il sangue e le ossa. I due uomini si guardano attorno spauriti, poi il mantello di Emeroth rimane impigliato tra i rami. Il giovane lo strattona perché non può perdere il passo ma voltandosi si rende conto che il mantello è in realtà gherito da un grosso albero che allunga i suoi rami verso di lui. In preda all'orrore ma mantenendo la calma Emeroth si sfila il mantello e continua il viaggio senza.
Ma i guai non sono finiti perché presto i due uomini attraversano un pantano che risulta quasi fatale per entrambi. Emeroth affonda e Felab gli porge la mano per tirarlo su, ma non riesce. Il fabbro strattona la corda per fermare Lungamano che, con voce atona e distaccata replica: "Se non vuole seguirci lascialo indietro". Felab si volta verso il figlio e con un discreto sforzo riesce a trascinarlo con sé.
Infine i tre viandanti giungono ad un tronco, sospeso sul fiume, al termine del quale si alzano altri due alberi. Tra loro, a mo' di tenda, è posta un'argentea e sottile ragnatela che Lungamano solleva per far entrare i suoi ospiti.
La casa di Lungamano è così diversa da quella degli uomini: modellata dalla natura fa parte di essa stessa. E' come una caverna, ma il soffitto è formato dai rami degli alberi che si intrecciano tra loro per fornire un riparo, il terreno è cosparso di morbide foglie dai colori dell'autunno e nell'ambiente alberga una luminosità diffusa prodotta da mille lucciole che vivono lì. Felab rimane ammirato da tanta bellezza e le opere dell'uomo gli appaiono immediatamente così patetiche e modeste, poi la sua attenzione è attirata dai servitori che raccolgono il mantello che Lungamano lascia cadere incurante. Sono piccoli esserini legnosi, folletti che si muovono velocemente e in modo scattoso.
"Benvenuti nella mia casa" dice Lungamano con un sorriso sornione "spero che la vostra permanenza possa essere piacevole".

Saturday, March 04, 2006

fuga dal destino

Feilhelm aiutò la Regina Ide a rialzarsi dal suo giaciglio mentre il piccolo neonato piangeva tra le braccia di Rhian. Il parto aveva assorbito completamente le loro attenzioni ma era chiaro che, nonostante tutto fosse andato bene, ora non c'era tempo per riposarsi.
"Dobbiamo partire subito, non possiamo restare oltre sull'isola delle Morrigan" disse Feilhelm rivolta alla Regina "ma prima dai un nome a tuo figlio". Feilhelm sapeva che le Morrigan non avrebbero infranto la tradizione dell'ospitalità, negando alla Regina un luogo dove partorire, ma dopo la decisione di Ide di revocare il patto che avevano stipulato, fermarsi ulteriormente sarebbe stato pericoloso. Era però necessario che la Regina reclamasse suo figlio, arrogandosi il giusto diritto di deciderne il nome, e che lo facesse in quel luogo e in quel momento.
"E' un maschio" disse Ide commossa "il tuo nome sarà Mochta, piccolo mio".
Mochta significa "destinato".
Un vento gelido si sollevò dalla terra verso l'Isola di McCleod. E proprio a cavallo di quel vento giunse distinto l'ululato di un cane. Il sangue delle donne si gelò nelle vene.
"Andiamo! Non c'è tempo da perdere" disse Feilhelm e presa sotto braccio la Regina l'aiutò a dirigersi verso la piccola imbarcazione con cui erano venute lei e la giovane Rhian. Ma la Regina era visibilmente turbata.
"Abbiamo sfidato poteri troppo grandi. Pagheremo per le nostre azioni..." disse sconfortata.
"Almeno pagheremo noi e non lui..." la rincuorò Feilhelm,
La traversata fu veloce e decisamente più semplice dell'andata nonostante le raffiche di vento. Tornare sulla terra ferma però non fu gradevole. Appena messo un piede a terra capirono subito di essere braccate.
"Sta arrivando!" disse Rhian.
"Lo so..." rispose Feilhelm e presi dalla riva quattro piccoli sassi levigati dalle onde del lago se lì strofinò tra i palmi invocando il consiglio della terra; poi li gettò sul sentiero che portava lontano dal lago, i sassi caddero apparentemente senza un particolare ordine sul sentiero, ma Feilhelm vi scrutò ciò che riservava loro il futuro...
"Rhian! Corri ad avvertire Mastro Felab e ritorna con due cavalcature: a piedi non abbiamo speranze. Io e la Regina ci avvieremo sul sentiero". Rhian guardò la sua maestra spaventata: procedere da sola nel Bosco dei Sussurri, nella notte di Belthain, le faceva paura; ma la giovane si fece coraggio e si gettò di corsa verso l'Emayn del Re dove suo padre - certamente - stava assistendo ai festeggiamenti. La ragazza corse a perdifiato e man mano che procedeva sentiva la paura crescere mentre gli ululati del mastino si avvicinavano sempre più. Nella notte illuminata fiocamente dalla Luna che stava appena sorgendo, la ragazza non vide la radice di un albero e cadde riversa a terra, sbucciandosi malamente i palmi delle mani e storcendosi una caviglia... Rhian si rialzò, dolorante ed affranta, ma ad attenderla c'era il ringhio del Mastino... Feilhelm udì da lontano il gridò di dolore di Rhian e l'ennesimo ululato del cane infernale.
Feilhelm si rialzò dal sentiero, riscuotendosi dalla visione e tornando in sé, con gli occhi fissi sui sassi che aveva lanciato, poi si voltò verso Rhian e la guardò negli occhi, felice di vederla ancora al suo fianco.
"Rhian! Non abbiamo speranze divise. Dobbiamo restare unite" disse Feilhelm e tutte e tre si avviarono sul sentiero, senza un'idea chiara di cosa fare ma sicure che non potevano aspettare la morte in quel luogo. Il gruppo si mise in marcia, una marcia penosa in cui la Regina, ancora provata dal parto, procedeva lentamente trascinandosi a fatica.
"Così non abbiamo scampo" pensò Feilhelm "dobbiamo trovare un aiuto...". Poco dopo le donne giunsero in una piccola radura e qui si fermarono, incalzate dal poco tempo che restava a loro disposizione. Feilhelm si rivolse alla Luna, implorandole che ella mandasse i suoi figli ad accorrerli, dopodiché si incise una mano e fece fare lo stesso alle sue compagne; spillò anche un po' di sangue dal neonato: la loro ultima speranza erano i lupi di Erin, che si avvicinassero attirati dall'odore e che prestassero loro soccorso. Passarono alcuni interminabili minuti: le donne si voltavano ad ogni rumore del bosco attorno a loro, ma nulla sembrava accadere, la loro richiesta di aiuto pareva essere caduta nel vuoto. Finalmente, il sottobosco attorno alla radura si popolo di una schiera di occhi. I lupi erano arrivati, ma sembravano indifferenti al destino degli uomini, solo vagamente curiosi.
Dal bosco uscì un piccolo gruppo di lupi, mentre dietro di loro i compagni ululavano. Gli sguardi delle bestie non sembravano affatto amichevoli con gli stranieri. Tutto d'un tratto il capobranco si fermò a metà strada guaendo. I lupi che l'accompagnavano si voltarono verso di lui, poi lo lasciarono solo e tornarono nel sottobosco. Il lupo avanzò solitario, ma ad ogni passo qualcosa in lui cambiava. Quando il lupo fu davanti alle donne aveva ormai le fattezze di un uomo, un giovane uomo nudo, ricoperto solo da una folta peluria ed un barba ancora morbida su quel volto.
"Sorella!" disse il giovane, con un suono roco della gola, rivolto a Rhian.
Rhian era scioccata dalla visione ma non poté fare a meno di riabbracciare Ferdrad.

I lupi, guidati da Ferdrad, si fecero cavalcare da Feilhelm e i suoi compagni. La corsa degli animali era veloce e metteva terreno tra le donne e il loro mortale inseguitore. I lupi giunsero così ad un ruscello, intenti a guardarlo per far perdere le loro tracce dal Mastino. Ma appena messo un piede nell'acqua i lupi si arrestarono cominciando a ringhiare alla figura che si trovava sull'altra riva. Lonan era fermo sulle quattro zampe, con il muso bene eretto e lo sguardo lucido e intelligente rivolto verso il bambino. Feilhelm tremò: era convinta che il mastino ora fosse molto più grande di quanto non lo ricordasse.
"Consegnatelo!" ordinò il Mastino.
"Non lo farete, vero?" chiese spaventata Feilhelm ai lupi attorno a sé.
"Devi darmi il bambino" rincarò Lonan "è mio di diritto, mio e del mio padrone: il Cacciatore dei Boschi. Colui per cui tutti gli altri sono solo prede".
"Non hai nessun diritto su di noi!" protestò Feilhelm prendendo coraggio.
"Stai forse sfidando il mio signore, donna? Stai osteggiando un patto che non ti riguarda. Come un figlio ero per il mio padrone e Connor conosceva il prezzo dello scambio" spiegò il Mastino con voce stentorea.
"Ed un figlio hai avuto, non ti è bastato forse?"
"Una figlia" corresse Lonan.
"Un figlio hai chiesto ed un figlio hai avuto" disse adirata più che mai Feilhelm, perdendo ogni freno "Il dolore di una madre non conosce maschio o femmina".
Il Mastino apparve più piccolo. L'ombra di un dubbio balenò tra i suoi occhi troppo intelligenti per essere di un animale. La bestia non sapeva come replicare alla risposta di Feilhelm, poi minacciò: "Attenta Madre delle Erbe: riporterò al mio padrone che non hai voluto consegnarmelo".
Ma Feilhelm ormai aveva capito dove fare leva.
"Se il patto che avete stipulato non vi aggrada più potete tornarvene da dove siete venuti e non tornare più. Mi prendo io la responsabilità di liberarti dal servizio di Re Connor. Torna pure dal Cacciatore e ricordatevi che avete già ricevuto un figlio".

Dopo quella notte di luna piena sono passati sei lunghi anni. La Madre delle Erbe ha dato ospitalità alla Regina Ide e a Mochta per tutto questo tempo e il piccolo cresce forte all'ombra del Dun di Mastro Felab. Ma dopo un anno, Ide decide che è tempo per lei di ripartire. La sua maternità ha risvegliato il medesimo desiderio nel cuore di Feilhelm, misto ad un desolazione rosa dal dubbio instillato in lei dalle Morrigan. Quando Ide decide di partire non è sicura se portare con sé il bimbo, ma Feilhelm non ha il coraggio di esprimere il proprio parere, così va dal fabbro per avere consiglio.
"Non è saggio che il bambino torni all'Emayn del Re" dice Felab "ancora non sappiamo cosa sia successo al mastino e non possiamo permetterci di rischiare. Mochta deve restare qui, nascosto da te, se poi l'Emayn si rivelerà essere un luogo sicuro la regina potrà sempre mandare qualcuno a prendere suo figlio".
Feilhlem, confortata dall'opinione di Felab accetta quindi di proteggere ancora il bimbo e crescerlo per Ide, che sente il bisogno di tornare al fianco del suo compagno.

Mastro Felab, intanto, continua a governare il proprio Dun, insegnado le arti della forgiatura al suo apprendista Ronan. Il giovane è ancora convinto che Felab non voglia condividire con lui i segreti di Lungamano, ma il fabbro tenta in tutti i modi di metterlo in guarda.
"Attento Ronan. Lungamano è astuto: non agisce per generosità. E' un Thuata de Danaan e come tale non è capace di creare. Lui usa noi e noi usiamo lui. Cerca di ricordarlo: Lungamano non è un amico". Ronan ascolta le parole del suo maestro e forse, sotto sotto, hanno anche qualche effetto ma poi lascia cadere il discorso e Felab non è convinto di essere riuscito a convincere l'apprendista. Lungamano dal canto suo continua a visitare la forgia di Felab, ma non ha mai pagato il lavoro che aveva commissionato a Ronan: con una scusa o con l'altra il figlio di Dana non ha mai portato Felab a caccia con sé. Ma Mastro Felab non è uno sciocco e sa bene che Lungamano non potrà ignorare il debito che ormai ha contratto.

In tutti questi anni Emeroth non è mai riuscito a perdonare Connor per il torto che pensa di aver subito. Emeroth non è tornato all'Emayn del Re dopo la Caccia al Cinghiale Bianco, ma si è trovato un posto nel Dun del padre come mandriano. Il giovane non ha abbandonato i propri allenamenti con la spada ma non ha più Fergus a fargli da maestro e tutore.
Mastro Felab, risentito per la decisione del figlio, un giorno gli si è presentato davanti, ha osservato le armi di Emeroth, non più curate come un tempo, e ne ha impugnata una. I rapporti tra padre e figlio, dopo la decisione di quest'utlimo di non tornare da Connor, si sono decisamente raggelati. D'altro canto anche la credibilità del fabbro ha ricevuto uno scossone: entrambi i suoi figli maschi hanno abbandonato il sentiero che era stato loro offerto presso il Re.
"Fammi vedere che ti hanno insegnato" ordina bruscamente l'uomo.
Emeroth, sfidato dal padre, afferra una spada, sicuro di poter dimostrare al padre la propria superiorità. Quando però Felab lo disarma in poche mosse Emeroth rimane contraddetto; frustrato ed umiliato, trovandosi faccia a faccia con il padre vorrebbe gettarsi su di lui a mani nude, ma il rispetto per lui è sufficiente a fermarlo.
"Stai buttando via il tuo futuro per un capriccio. Devi molto a Re Connor, ricordalo" dice severo Felab.
"Quanto mi è stato dato mi è stato anche tolto" replica piccato Emeroth "un solo Cinghiale Bianco c'era e mio era l'onore di averlo ucciso".
"Quella bestia ti sta avvelenando la mente" insiste Felab.
"Padre, se non puoi accettare la mia scelta me ne andrò. Ho altri posti dove posso stare".
"E dove?"
"Ho amici. Cumain, ad esempio, sono sicuro che mi ospiterà".
"Non ce ne sarà bisogno. Ho già perso un figlio imponendogli la mia volontà. Non ripeterò lo stesso errore: farai quello che desideri, ma non aspettarti che io condivida ogni tua scelta" conclude Felab allontanandosi dal figlio.

Ma Felab non è stato l'unico a tentare di convincere Emeroth. Sei mesi dopo averlo lasciato l'Emayn, Emeroth riceve una visita. Si tratta di Fergus in persona. L'uomo appare estremamente invecchiato: sulle sue spalle sembrano ricaduti gli anni e non i mesi; la morte del fratello lo ha provato duramente. Emeroth però accoglie il suo maestro e tutore con gelo e freddezza.
"Emeroth! Sei cresciuto" esordisce Fergus ammirando il suo pupillo "Cosa hai fatto in questo tempo? Non ti sarai mica rammolito?!" ma dietro la voce ostentatamente roboante non c'è più il fiero celta di pochi mesi prima. Emeroth dà poca corda al suo ospite e dichiara subito di non avere intenzione di entrare a far parte del Ramo Rosso.
"Non puoi lasciarci!" riprende Fergus "Non ora, con tutti i problemi che abbiamo! Connor stesso mi ha mandato a chiamarti: c'è aria di guerra. I McNessa assillano Connor perché organizzi rappresaglie alle continue razzie che subiamo. Il clan dei McNessa è tra i più colpiti e ne va anche del loro onore: non possono continuare a subire i soprusi senza reagire. Dobbiamo ripagare i torti subiti".
"Il mio braccio è certamente al servizio del Re. Ma non lo sarà in qualità di Guerriero del Ramo Rosso" precisa Emeroth.
Lo sguardo di Fergus si intristisce di fronte a tanta durezza ed ostinazione. L'uomo è visibilmente affranto perché aveva ardentemente sperato in un ripensamento da parte del giovane e forse si era illuso che, di persona, Emeroth non avrebbe avuto il cuore di rifiutarsi di tornare.
"Va bene. Riporterò la tua decisione a Connor..." conclude tristemente Fergus "... ogni uomo fa le sue scelte Emeroth, ma ricordati che solo gli stolti non cambiano mai idea".

L'anno dopo, al ritorno della primavera, Irial si presenta al Dun di Mastro Felab. Il fabbro non sperava più nella visita del mendicante, ormai si era rassegnato e non pensava più di rivederlo. Invece il vecchio muto giunge inaspettatamente annunciato da Ronan.
Mastro Felab mostra all'uomo la capanna che ha fatto costruire da Emeroth e Ronan, subito fuori dalla palizzata, nascosta da sguardi indiscreti. Il mendicante è stupito da tanta ospitalità: nessuno gli aveva mai offerto tanto. Mastro Felab invece vuole che l'uomo resti vicino a lui perché è convinto che ciò che ha visto e vissuto in gioventù gli sarà certamente utile nei tempi a venire.
Ma dopo aver dato ospitalità ad Irial, Felab ritorna subito al suo lavoro. Sono anni in cui lavora principalmente alla Spada che sta forgiando per Emeroth. Passato l'iniziale sconforto per la decisione del figlio, il fabbro spero che una volta che la Spada sarà terminata, questa possa essere una spinta per il figlio a ritornare all'Emayn del Re.
Assieme alla Spada l'uomo forgia anche lo Scudo per Odran, come promesso. Felab non si vorrebbe mai distrarre dalla Spada, che ormai occupa quasi la totalità del suo tempo (e lasciando a Ronan la gestione ordinaria) ma si costringe a lavorare anche ad altro, sicuro che la propria arte sarà opportunamente ripagata. Infine, dopo sei interminabili anni di lavor, la lama di Mastro Felab, è finalmente pronta.