Saturday, March 04, 2006

fuga dal destino

Feilhelm aiutò la Regina Ide a rialzarsi dal suo giaciglio mentre il piccolo neonato piangeva tra le braccia di Rhian. Il parto aveva assorbito completamente le loro attenzioni ma era chiaro che, nonostante tutto fosse andato bene, ora non c'era tempo per riposarsi.
"Dobbiamo partire subito, non possiamo restare oltre sull'isola delle Morrigan" disse Feilhelm rivolta alla Regina "ma prima dai un nome a tuo figlio". Feilhelm sapeva che le Morrigan non avrebbero infranto la tradizione dell'ospitalità, negando alla Regina un luogo dove partorire, ma dopo la decisione di Ide di revocare il patto che avevano stipulato, fermarsi ulteriormente sarebbe stato pericoloso. Era però necessario che la Regina reclamasse suo figlio, arrogandosi il giusto diritto di deciderne il nome, e che lo facesse in quel luogo e in quel momento.
"E' un maschio" disse Ide commossa "il tuo nome sarà Mochta, piccolo mio".
Mochta significa "destinato".
Un vento gelido si sollevò dalla terra verso l'Isola di McCleod. E proprio a cavallo di quel vento giunse distinto l'ululato di un cane. Il sangue delle donne si gelò nelle vene.
"Andiamo! Non c'è tempo da perdere" disse Feilhelm e presa sotto braccio la Regina l'aiutò a dirigersi verso la piccola imbarcazione con cui erano venute lei e la giovane Rhian. Ma la Regina era visibilmente turbata.
"Abbiamo sfidato poteri troppo grandi. Pagheremo per le nostre azioni..." disse sconfortata.
"Almeno pagheremo noi e non lui..." la rincuorò Feilhelm,
La traversata fu veloce e decisamente più semplice dell'andata nonostante le raffiche di vento. Tornare sulla terra ferma però non fu gradevole. Appena messo un piede a terra capirono subito di essere braccate.
"Sta arrivando!" disse Rhian.
"Lo so..." rispose Feilhelm e presi dalla riva quattro piccoli sassi levigati dalle onde del lago se lì strofinò tra i palmi invocando il consiglio della terra; poi li gettò sul sentiero che portava lontano dal lago, i sassi caddero apparentemente senza un particolare ordine sul sentiero, ma Feilhelm vi scrutò ciò che riservava loro il futuro...
"Rhian! Corri ad avvertire Mastro Felab e ritorna con due cavalcature: a piedi non abbiamo speranze. Io e la Regina ci avvieremo sul sentiero". Rhian guardò la sua maestra spaventata: procedere da sola nel Bosco dei Sussurri, nella notte di Belthain, le faceva paura; ma la giovane si fece coraggio e si gettò di corsa verso l'Emayn del Re dove suo padre - certamente - stava assistendo ai festeggiamenti. La ragazza corse a perdifiato e man mano che procedeva sentiva la paura crescere mentre gli ululati del mastino si avvicinavano sempre più. Nella notte illuminata fiocamente dalla Luna che stava appena sorgendo, la ragazza non vide la radice di un albero e cadde riversa a terra, sbucciandosi malamente i palmi delle mani e storcendosi una caviglia... Rhian si rialzò, dolorante ed affranta, ma ad attenderla c'era il ringhio del Mastino... Feilhelm udì da lontano il gridò di dolore di Rhian e l'ennesimo ululato del cane infernale.
Feilhelm si rialzò dal sentiero, riscuotendosi dalla visione e tornando in sé, con gli occhi fissi sui sassi che aveva lanciato, poi si voltò verso Rhian e la guardò negli occhi, felice di vederla ancora al suo fianco.
"Rhian! Non abbiamo speranze divise. Dobbiamo restare unite" disse Feilhelm e tutte e tre si avviarono sul sentiero, senza un'idea chiara di cosa fare ma sicure che non potevano aspettare la morte in quel luogo. Il gruppo si mise in marcia, una marcia penosa in cui la Regina, ancora provata dal parto, procedeva lentamente trascinandosi a fatica.
"Così non abbiamo scampo" pensò Feilhelm "dobbiamo trovare un aiuto...". Poco dopo le donne giunsero in una piccola radura e qui si fermarono, incalzate dal poco tempo che restava a loro disposizione. Feilhelm si rivolse alla Luna, implorandole che ella mandasse i suoi figli ad accorrerli, dopodiché si incise una mano e fece fare lo stesso alle sue compagne; spillò anche un po' di sangue dal neonato: la loro ultima speranza erano i lupi di Erin, che si avvicinassero attirati dall'odore e che prestassero loro soccorso. Passarono alcuni interminabili minuti: le donne si voltavano ad ogni rumore del bosco attorno a loro, ma nulla sembrava accadere, la loro richiesta di aiuto pareva essere caduta nel vuoto. Finalmente, il sottobosco attorno alla radura si popolo di una schiera di occhi. I lupi erano arrivati, ma sembravano indifferenti al destino degli uomini, solo vagamente curiosi.
Dal bosco uscì un piccolo gruppo di lupi, mentre dietro di loro i compagni ululavano. Gli sguardi delle bestie non sembravano affatto amichevoli con gli stranieri. Tutto d'un tratto il capobranco si fermò a metà strada guaendo. I lupi che l'accompagnavano si voltarono verso di lui, poi lo lasciarono solo e tornarono nel sottobosco. Il lupo avanzò solitario, ma ad ogni passo qualcosa in lui cambiava. Quando il lupo fu davanti alle donne aveva ormai le fattezze di un uomo, un giovane uomo nudo, ricoperto solo da una folta peluria ed un barba ancora morbida su quel volto.
"Sorella!" disse il giovane, con un suono roco della gola, rivolto a Rhian.
Rhian era scioccata dalla visione ma non poté fare a meno di riabbracciare Ferdrad.

I lupi, guidati da Ferdrad, si fecero cavalcare da Feilhelm e i suoi compagni. La corsa degli animali era veloce e metteva terreno tra le donne e il loro mortale inseguitore. I lupi giunsero così ad un ruscello, intenti a guardarlo per far perdere le loro tracce dal Mastino. Ma appena messo un piede nell'acqua i lupi si arrestarono cominciando a ringhiare alla figura che si trovava sull'altra riva. Lonan era fermo sulle quattro zampe, con il muso bene eretto e lo sguardo lucido e intelligente rivolto verso il bambino. Feilhelm tremò: era convinta che il mastino ora fosse molto più grande di quanto non lo ricordasse.
"Consegnatelo!" ordinò il Mastino.
"Non lo farete, vero?" chiese spaventata Feilhelm ai lupi attorno a sé.
"Devi darmi il bambino" rincarò Lonan "è mio di diritto, mio e del mio padrone: il Cacciatore dei Boschi. Colui per cui tutti gli altri sono solo prede".
"Non hai nessun diritto su di noi!" protestò Feilhelm prendendo coraggio.
"Stai forse sfidando il mio signore, donna? Stai osteggiando un patto che non ti riguarda. Come un figlio ero per il mio padrone e Connor conosceva il prezzo dello scambio" spiegò il Mastino con voce stentorea.
"Ed un figlio hai avuto, non ti è bastato forse?"
"Una figlia" corresse Lonan.
"Un figlio hai chiesto ed un figlio hai avuto" disse adirata più che mai Feilhelm, perdendo ogni freno "Il dolore di una madre non conosce maschio o femmina".
Il Mastino apparve più piccolo. L'ombra di un dubbio balenò tra i suoi occhi troppo intelligenti per essere di un animale. La bestia non sapeva come replicare alla risposta di Feilhelm, poi minacciò: "Attenta Madre delle Erbe: riporterò al mio padrone che non hai voluto consegnarmelo".
Ma Feilhelm ormai aveva capito dove fare leva.
"Se il patto che avete stipulato non vi aggrada più potete tornarvene da dove siete venuti e non tornare più. Mi prendo io la responsabilità di liberarti dal servizio di Re Connor. Torna pure dal Cacciatore e ricordatevi che avete già ricevuto un figlio".

Dopo quella notte di luna piena sono passati sei lunghi anni. La Madre delle Erbe ha dato ospitalità alla Regina Ide e a Mochta per tutto questo tempo e il piccolo cresce forte all'ombra del Dun di Mastro Felab. Ma dopo un anno, Ide decide che è tempo per lei di ripartire. La sua maternità ha risvegliato il medesimo desiderio nel cuore di Feilhelm, misto ad un desolazione rosa dal dubbio instillato in lei dalle Morrigan. Quando Ide decide di partire non è sicura se portare con sé il bimbo, ma Feilhelm non ha il coraggio di esprimere il proprio parere, così va dal fabbro per avere consiglio.
"Non è saggio che il bambino torni all'Emayn del Re" dice Felab "ancora non sappiamo cosa sia successo al mastino e non possiamo permetterci di rischiare. Mochta deve restare qui, nascosto da te, se poi l'Emayn si rivelerà essere un luogo sicuro la regina potrà sempre mandare qualcuno a prendere suo figlio".
Feilhlem, confortata dall'opinione di Felab accetta quindi di proteggere ancora il bimbo e crescerlo per Ide, che sente il bisogno di tornare al fianco del suo compagno.

Mastro Felab, intanto, continua a governare il proprio Dun, insegnado le arti della forgiatura al suo apprendista Ronan. Il giovane è ancora convinto che Felab non voglia condividire con lui i segreti di Lungamano, ma il fabbro tenta in tutti i modi di metterlo in guarda.
"Attento Ronan. Lungamano è astuto: non agisce per generosità. E' un Thuata de Danaan e come tale non è capace di creare. Lui usa noi e noi usiamo lui. Cerca di ricordarlo: Lungamano non è un amico". Ronan ascolta le parole del suo maestro e forse, sotto sotto, hanno anche qualche effetto ma poi lascia cadere il discorso e Felab non è convinto di essere riuscito a convincere l'apprendista. Lungamano dal canto suo continua a visitare la forgia di Felab, ma non ha mai pagato il lavoro che aveva commissionato a Ronan: con una scusa o con l'altra il figlio di Dana non ha mai portato Felab a caccia con sé. Ma Mastro Felab non è uno sciocco e sa bene che Lungamano non potrà ignorare il debito che ormai ha contratto.

In tutti questi anni Emeroth non è mai riuscito a perdonare Connor per il torto che pensa di aver subito. Emeroth non è tornato all'Emayn del Re dopo la Caccia al Cinghiale Bianco, ma si è trovato un posto nel Dun del padre come mandriano. Il giovane non ha abbandonato i propri allenamenti con la spada ma non ha più Fergus a fargli da maestro e tutore.
Mastro Felab, risentito per la decisione del figlio, un giorno gli si è presentato davanti, ha osservato le armi di Emeroth, non più curate come un tempo, e ne ha impugnata una. I rapporti tra padre e figlio, dopo la decisione di quest'utlimo di non tornare da Connor, si sono decisamente raggelati. D'altro canto anche la credibilità del fabbro ha ricevuto uno scossone: entrambi i suoi figli maschi hanno abbandonato il sentiero che era stato loro offerto presso il Re.
"Fammi vedere che ti hanno insegnato" ordina bruscamente l'uomo.
Emeroth, sfidato dal padre, afferra una spada, sicuro di poter dimostrare al padre la propria superiorità. Quando però Felab lo disarma in poche mosse Emeroth rimane contraddetto; frustrato ed umiliato, trovandosi faccia a faccia con il padre vorrebbe gettarsi su di lui a mani nude, ma il rispetto per lui è sufficiente a fermarlo.
"Stai buttando via il tuo futuro per un capriccio. Devi molto a Re Connor, ricordalo" dice severo Felab.
"Quanto mi è stato dato mi è stato anche tolto" replica piccato Emeroth "un solo Cinghiale Bianco c'era e mio era l'onore di averlo ucciso".
"Quella bestia ti sta avvelenando la mente" insiste Felab.
"Padre, se non puoi accettare la mia scelta me ne andrò. Ho altri posti dove posso stare".
"E dove?"
"Ho amici. Cumain, ad esempio, sono sicuro che mi ospiterà".
"Non ce ne sarà bisogno. Ho già perso un figlio imponendogli la mia volontà. Non ripeterò lo stesso errore: farai quello che desideri, ma non aspettarti che io condivida ogni tua scelta" conclude Felab allontanandosi dal figlio.

Ma Felab non è stato l'unico a tentare di convincere Emeroth. Sei mesi dopo averlo lasciato l'Emayn, Emeroth riceve una visita. Si tratta di Fergus in persona. L'uomo appare estremamente invecchiato: sulle sue spalle sembrano ricaduti gli anni e non i mesi; la morte del fratello lo ha provato duramente. Emeroth però accoglie il suo maestro e tutore con gelo e freddezza.
"Emeroth! Sei cresciuto" esordisce Fergus ammirando il suo pupillo "Cosa hai fatto in questo tempo? Non ti sarai mica rammolito?!" ma dietro la voce ostentatamente roboante non c'è più il fiero celta di pochi mesi prima. Emeroth dà poca corda al suo ospite e dichiara subito di non avere intenzione di entrare a far parte del Ramo Rosso.
"Non puoi lasciarci!" riprende Fergus "Non ora, con tutti i problemi che abbiamo! Connor stesso mi ha mandato a chiamarti: c'è aria di guerra. I McNessa assillano Connor perché organizzi rappresaglie alle continue razzie che subiamo. Il clan dei McNessa è tra i più colpiti e ne va anche del loro onore: non possono continuare a subire i soprusi senza reagire. Dobbiamo ripagare i torti subiti".
"Il mio braccio è certamente al servizio del Re. Ma non lo sarà in qualità di Guerriero del Ramo Rosso" precisa Emeroth.
Lo sguardo di Fergus si intristisce di fronte a tanta durezza ed ostinazione. L'uomo è visibilmente affranto perché aveva ardentemente sperato in un ripensamento da parte del giovane e forse si era illuso che, di persona, Emeroth non avrebbe avuto il cuore di rifiutarsi di tornare.
"Va bene. Riporterò la tua decisione a Connor..." conclude tristemente Fergus "... ogni uomo fa le sue scelte Emeroth, ma ricordati che solo gli stolti non cambiano mai idea".

L'anno dopo, al ritorno della primavera, Irial si presenta al Dun di Mastro Felab. Il fabbro non sperava più nella visita del mendicante, ormai si era rassegnato e non pensava più di rivederlo. Invece il vecchio muto giunge inaspettatamente annunciato da Ronan.
Mastro Felab mostra all'uomo la capanna che ha fatto costruire da Emeroth e Ronan, subito fuori dalla palizzata, nascosta da sguardi indiscreti. Il mendicante è stupito da tanta ospitalità: nessuno gli aveva mai offerto tanto. Mastro Felab invece vuole che l'uomo resti vicino a lui perché è convinto che ciò che ha visto e vissuto in gioventù gli sarà certamente utile nei tempi a venire.
Ma dopo aver dato ospitalità ad Irial, Felab ritorna subito al suo lavoro. Sono anni in cui lavora principalmente alla Spada che sta forgiando per Emeroth. Passato l'iniziale sconforto per la decisione del figlio, il fabbro spero che una volta che la Spada sarà terminata, questa possa essere una spinta per il figlio a ritornare all'Emayn del Re.
Assieme alla Spada l'uomo forgia anche lo Scudo per Odran, come promesso. Felab non si vorrebbe mai distrarre dalla Spada, che ormai occupa quasi la totalità del suo tempo (e lasciando a Ronan la gestione ordinaria) ma si costringe a lavorare anche ad altro, sicuro che la propria arte sarà opportunamente ripagata. Infine, dopo sei interminabili anni di lavor, la lama di Mastro Felab, è finalmente pronta.

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