un destino si compie
Lo stendardo dei McFinn sventola forte, trascinato dalla veloce corsa di Emeroth: molti guerrieri lo stanno seguendo anche se altrettanti non capiscono perché non sia il giovane Vargalas a fare da gonfaloniere. Il gruppo, capitanato da Cumain ed Emeroth deve dare man forte a Re Connor, arroccato sulla collina. Le istruzioni di Fergus suggeriscono di dividere i guerrieri in due parti: una che soccorra direttamente Re Connor e l'altro che faccia il giro della collina per attaccare i Pitti sul fianco. Emeroth e Cumain dovrebbero quindi dividersi, capitanando ciascuno uno dei due gruppi, ma Emeroth non vuole perdere di vista il cugino del Re perciò, non appena i guerrieri interrompono la loro corsa per dividersi, Emeroth affida lo stendardo ad uno dei luogotenenti di Cumain.
"Felas, procedi diritto verso la collina" gli ordina sicuro "arriveremo presto in vostro aiuto" dopodiché si volta verso Cumain che lo sta guardando con uno sguardo indecifrabile, forse irritato, forse sopreso.
"Sono ai tuoi ordini!" dice Emeroth senza riuscire a frenare un certo sarcasmo nella voce.
I due gruppi si separano, ma presto, nel aggirare la collina, Emeroth e compagni sono intercettati da un gruppo di Pitti con le loro stesse intenzioni.
"Apriamoci un varco!" urla perentorio Cumain mentre i Celti si lanciano urlando contro i nemici. L'impatto è violentissimo: grida di guerra si mescolano ad urla di dolore mentre morti e feriti si accasciano al suolo da ambo le parti. Emeroth procede determinato con Alfalas, la spada forgiatagli dal padre, salda nel pugno. Mentre procede roteandola a destra e manca più di un nemico cade a terra ferito gravemente dai suoi colpi
Intanto Moctha continua a fare la spola tra la collina, dove letteralmente scendono rivoli di sangue, e il suo signore, stando bene attento a non farsi coinvolgere nella mischia. Il ragazzo vorrebbe avvicinarsi al Re ma il suo senso del dovere nei confronti di Orlaith lo costringe a guardarsi indietro più volte. Una di queste non può fare a meno di notare che Orlaith è in difficoltà: un'accetta di un Pitto ha fracassato lo scudo del suo padrone e l'avversario lo sta incalzando. Moctha strappa da un Celta steso a terra uno scudo e si precipita verso il proprio signore per prestargli aiuto. Un urlo disumano proviene alle sue spalle sulla collina, ma Moctha decide di non fermarsi nonostante il fragore cresca sempre più.
"Vattene ragazzo!" gli ordina Orlaith vedendolo accanto a sé, ma appena riesce a liberarsi dal suo avversario raccoglie lo scudo che Moctha gli sta porgendo.
"Abbiamo promesso alla tua famiglia che ti avremmo tenuto lontano dalla battaglia: vattene ora!" gli ripete Orlaith, ma Moctha non lo sta più ascoltando: ha notato un Pitto che sta arrivando con la lancia spianata per caricare il suo signore. Moctha urla di fare attenzione ma è costretto a passare all'azione: sfodera la spada che aveva raccolto da terra poco prima, devia il colpo della lancia e poi affonda la lama nel corpo del nemico, muovendosi come Emeroth gli ha insegnato.
"Re Connor, sulla collina, ha bisogno di noi" ansima Moctha in preda all'eccitazione e alla confusione. Orlaith raduna i suoi familiari e tutti insieme corrono a dar man forte al Re.
Sulla collina li attende uno spettacolo terrificante: un gruppo di Pitti mastodontici, decorati di blu e dalle braccia ricoperte di sangue, combattono senza armi, a pure mani nude; ma non sono mani qualunque: hanno braccia esageratamente nerborute ed artigli al posto delle unghie, come fossero animali feroci. Lanciano grida gutturali che terrorizzano gli avversari e schiantano gli scudi afferrandoli a mani nude.
Tanai, giunto anch'egli in cima alla collina, si mette al fianco del gruppo del Re che guarda allibito i nuovi venuti e rivolte poi il suo sguardo verso la base della collina, nella speranza di vedere arrivare i rinforzi capitanati da Cumain. Fergus, il campione del Re, fa valere la sua esperienza e la sua abilità ed abbatte più di un nemico che prova ad avvicinarsi allo stendardo che però è costretto ad arretrare. Anche Tanai si fa valere ed abbatte alcuni nemici e nonostante dei colpi lo raggiungano alle braccia e al torace non si perde d'animo e resta al suo posto.
Anche Emeroth continua a combattere e mietere vittime con l'urgenza di arrivare al più presto in aiuto di Connor. Il guerriero mena fendenti a destra e manca fino a quando una fitta dolorosa lo sorprende su un fianco, alle spalle. Emeroth si gira di scatto, pronto a fronteggiare un nuovo inatteso nemico, ma di fronte a sé vede invece Cumain che lo guarda con occhi sorpresi; un pugnale giace a terra fra loro due. Emeroth freme di rabbia all'idea del tradimento che si sta già consumando ma non può far altro che tener testa ad altri due pitti che lo stanno assalendo approfittando della sua distrazione. Emeroth para con maestria il colpo del primo e fa scorrere la sua lama fino a recidere il braccio del suo aggressore; purtroppo però non riesce a fare lo stesso con il secondo avversario che, approfittando della superiorità numerica e della ferita già infertagli, riesce a raggiungerlo di nuovo su quel fianco aprendogli un profondo squarcio e mandandolo a terra mentre il mondo si offusca lentamente.
"Emeroth è ferito!" sente urlare intorno a lui dalla voce di Cumain.
Feilhelm riemerge infine dalle acque, ancora sorpesa e stordita da quello strano viaggio. Le ninfe la sostengono senza tanta delicatezza e la sbattono contro la banchina. L'anziana donna si aggrappa con tutte le sue forze alla riva e si trascina fuori dall'acqua, infreddolita, provocandosi diverse escoriazioni alle mani e alle braccia.
"Ssssei arrivata... " le sussurrano le ninfe mentre le graffiano malignamente le gambe. Feilhelm non risponde nulla ma si allontana dalla loro portata; il buio però non le consente di vedere pressoché nulla.
"Abbiamo assssolto al nosstro dovere..." sghignazzano sotto il pelo dell'acqua le ninfe "Ti abbiamo portata dove Lehin voleva, ma tu ora dovrai trovare da sola la strada per l'uscita. Fai attenzione donna: una via porta alla luce del giorno mentre l'altra all'oscurità perpetua".
Feilhelm, intirizzita e tremante, si tasta attorno nel buio trovando solo rocce appuntite. Piano piano comincia a muoversi a tentoni verso una direzione fino a che un alito di vento non attrae la sua attenzione. Una sottile brezza le sfiora il visto e la donna segue quella piccola traccia, aggrappandosi ad essa come ad una speranza; poco dopo le pare di intravedere una sottile luce e capisce che sta rivivendo il sogno che le ha descritto Nyhallam. Feilhelm non si perde d'animo ma continua nella sua lenta e penosa marcia nel buio fino a che non sente un rumore, come di qualcosa che striscia tra le rocce. La luminosità si fa leggermente più forte e dopo poco le pare che questa provenga da una caverna poco distante da lei.
C'è una sala illiminata da una strana luce fluorescente emessa da alcuni cristalli che si muovono lentamente. Dalla sala partono due uscite: una leggermente in salita e l'altra verso il basso. Feilhelm avverte subito la presenza di un potere antico e molto forte, ma subito la sua attenzione è attratta da un enorme serpente il cui corpo è cosparso dai cristalli della sala. L'anziana donna capisce subito di trovarsi di fronte alla leggenda di Gorgoth, il serpente bifronte, guardiano del Regno dei Morti. Gorgoth possiede un corpo e due teste: una a ciascuna delle sue estremità; la leggenda dice che una testa sia velenosa, mortale e che dica sempre il falso mentre l'altra invece dica solo il vero e dalle cui fauci gronda un nettare che ridona la vita.
"Salute a te Gorgoth, signore di questo luogo" dice Feilhelm mentre con la sua mente ritorna ai miti che spesso ha sentito raccontare dai bardi. La donna sa di poter rivolgere al serpente una sola domanda e che da quella domanda dipende il proseguo della sua missione. Feilhelm, contratta dal dolore e dalla paura, chiude gli occhi per trovare dentro di sé la concentrazione necessaria a formulare la sua domanda, poi si avvicna ad una delle due teste.
"Serpente bifronte: se chiedessi all'altra tua testa se questa davanti a me è la strada che mi condurrà alla luce del giorno, lei cosa mi risponderebbe?" chiede infine.
"Ti risponderebbe di sì!" sibila con una profonda voce Gorgoroth.
"Allora prenderò l'altra strada!" conviene Feilhelm ed imbocca l'latra uscita abbandonando di corsa la sala in preda al terrore. L'anziana, trovandosi di nuovo al buio, inciampa e cade a terra, con una caviglia dolorante per la storta subita. La donna vorrebbe piangere ma si contiene e si rialza, non dandosi per vinta: c'è la vita dei suoi figli in palio! E riprende la sua corsa.
Feilhelm si ferma solo quando finalmente va a sbattere contro un albero: è finalmente fuori dalla caverna e sta albeggiando. La donna si guarda attorno, inebetita e subito un corvo le si posa sulla spalla.
Mentre osserva inebetita la luce diffondersi intorno a lei, nota che deve essere ruzzolata da una piccola apertura poco più in alto. Forse un po' troppo piccola, a dire il vero, se non per lasciar passare un bambino.
"Ti mandano le Morrigan, vero?" dice Feilhelm rivolta al corvo. L'animale la guarda e poi, per tutta risposta, le dà un beccotto sullo zigomo provocandole un taglio dal quale però non esce sangue.
I Pitti sulla collina imperversano e falciano una vittima dietro l'altra. Gli enormi pitti dalle fattezze di grossi orsi feroci sembrano davvero imbattibili. Anche Tanai combatte tenacemente, mentre Connor, poco lontano urla ai suoi di tenere duro, che presto arriverrano i rinforzi; ma il Re quasi non crede alle sue stesse parole: si scambia un'occhiata con il bardo ed entrambi campiscono che è arrivato il temuto momento del tradimento. Moctha intanto resta al fianco di Orlaith anche se questo significa che qualche Pitto, credendo di mietere una facile vittima, gli si avventa contro.
Tanai viene assalito da una coppia di nemici e nonostante riesca a resistere ai ripetuti assalti è allo strenuo delle forze, ferito e grondandante del suo stesso sangue. Come se non bastasse uno dei feroci pitti-orsi gli si para davanti e lo colpisce al torace con una violenta artigliata. Tutto si fa scuro ed ovattato intorno al bardo mentre cade a terra intontito. Al suolo, Tanai vede cadare vicino a sé anche Fergus, sotto le micidiali arpate di un altro nemico e subito dopo è lo stendardo del Re a vacillare ed anche Connor Re dei Celti, cade, stringendo caparbiamente in pugno l'emblema dei McFinn. Tutto è perso e Tanai avverte che i sensi lo stanno lasciando mentre una voce, lontana, grida: "Cumain, Cumain! Arriva Cumain!".
Feilhlem ode i rimori della battaglia, poco lontani. Si rende conto solo all'ultimo, mentre si avvicina alla loro fonte, che poco lontano da lei, le sta correndo incontro Rhian. La giovane ferma la sua corsa ad un passo di distanza da lei, accorgendosi solo all'ultimo istante della sua presenza. Rhian osserva confusa la madre adottiva e poi, spaventata, il corvo che le sta appollaiato sulla spalla. Poi, riprendendosi un poco:
"Devo andare! Devo portare un segno" dice indicando la battaglia con una mano, nell'altra stringe qualcosa avvolto in un panno.
"E' il pugnale di Nyhallam quello?" chiede Feilhelm "Lui è qui? Non è possibile" si risponde da sola la donna.
"Come fai a sapere del pugnale? Lo hai visto? Lui stesso me l'ha dato" si informa sempre più confusa Rhian "Ci siamo incontrati stanotte, come mi aveva chiesto".
"E non ti è sembrato strano?" domanda Feilhelm.
"No, ma era molto serio e non ha voluto che lo toccassi, né che lo baciassi. Mi ha dato il suo pugnale e mi ha detto di consegnarlo a Re Connor, come suggello del patto stretto con Fergus".
"Posso vederlo?" chiede Feilhlem e Rhian glielo consegna. La donna riconosce subito il pugnale di cui il figlio le ha parlato "Nyhallam non può averti voluto dare questo incarico; lui non voleva combattere questa guerra. E poi si trova lontano da qui...".
"Anche tu non dovresti essere qui ora, ti sapevo lontana" dice confusa Rhian.
"Ho preso... un'altra via. Ma tu, stanotte, non hai incontrato Nyhallam. Devi aver visto Lungamano, o Lug, Signore dei Thuata. Resta fuori da questa storia Rhian, non andare avanti".
Rhian rimane estremamente turbata a sentir parlare la propria madre adottiva in questi termini e capisce subito che, sì, è possibile che sia stata raggirata.
"Ma cosa posso fare madre? Sei sicura di quello che dici? Sei sicura che questa sia la decisione giusta?" chiede disperata Rhian.
"C'è bisogno di te laggiù, Rhian. Ma non come vuole Lungamano, ma come ti ho insegnato io: dobbiamo aiutarli con le arti della guarigione e non con gli inganni di Lug".
"Ma io ho promesso. Ho preso un impegno" protesta Rhian. Feilhelm si fa ancora più triste ma sapendo che il suo destino è ormai compiuto alza una mano in direzione di quella sua figlia.
"Passalo a me allora! Lascia a me questo fardello e le sue conseguenze. Vai ad aiutare la tua gente. Sono venuta per salvarti Rhian e non cederò adesso. Devi fidarti di me".
Rhian, sempre più turbata nel sentir parlare Feilhelm in quel modo, capisce però cosa deve fare e consegna nelle mani della donna il pugnale di Fergus. Poi, presagendo qualcosa di buio nel futuro e osservando di nuovo il corvo sussurra alla madre:
"Non lasciarmi sola anche tu!" e una lacrima le riga il volto.
Feilhlem osserva con stizza il corvo che non l'ha più lasciata da quando è uscita dalla caverna: "Il mio destino è già nelle tue mani; ora però vattene!" e dicendo questo scaccia la bestia con un brusco gesto.
"Andrò!" risponde inaspettatamente il corvo "ti aspetterò alla caverna; so che tornerai. Devi farlo".
Rhian abbraccia quindi Feilhelm e più e più volte le bacia il volto e poi le mani, ogni volta il saluto si ripete perché la giovane non riesce ad abbandonare colei che l'ha cresciuta ed istruita.
"Dobbiamo andare ciascuna incontro al proprio destino" dice solennemente Feilhelm. Poi le due donne si separano dal loro abbraccio.
"So che la tua scelta è quella giusta, madre" dice Rhian "è sempre stato così" poi la giovane tace e si allontana dirigendosi là dove è necessario il suo aiuto. Feilhelm rimane ferma ad osservarla mentre la distanza tra le due si fa sempre più grande. Ad un certo punto Rhian si ferma e si volta per cercare lo sguardo di Feilhelm, ma fatica a trovarlo e solo dopo un po' alza la mano nella sua direzione per un ultimo saluto.
Feilhelm, infine, resta sola, con il pugnale in mano e un peso fortissimo sullo stomaco. Dopo un'attimo di indecisione la donna si volta e si dirige alla cavarna dove il corvo è fermo ad attenderla.
Lehin rientra nella caverna delle ninfe, guidato dalla sua lanterna piena di lucciole sfavillanti.
"Sono Lehin, fratello di Lug. Io vi invoco" dice con voce potente. Le acque si agitano e dopo poco, riaffiornao i volti marcescenti delle ninfe, con la loro bocca sghignazzante e bubbolante subito sotto il pelo dell'acqua.
"La rivoglio!" ordina Lehin.
"Non puoi averla! E' morta!" rispondono maligne le ninfe "Ha finalmente pagato per i suoi insulti e i suoi tranelli".
"Rivoglio il suo corpo e lo rivoglio ora!" dice Lehin sempre più risoluto, poi si sfila uno dei suoi anelli e lo getta nel lago. Le ninfe si gettano avidamente là dove il pagamanto per quanto richiesto è stato lanciato.
Dopo poco, sostentuto dalle mani grigie e palmate delle ninfe, riaffiora il povero corpo di Feilhelm: emaciato e gonfio per l'affogamento. Lehin la prende delicatamente tra le sue braccia e la madre delle erbe, ancora una volta, torna ad essere bella e giovane. Poi la fata si volta, uscendo dalla carvena, illuminato solamente dalla sua lanterna di lucciole.
"Felas, procedi diritto verso la collina" gli ordina sicuro "arriveremo presto in vostro aiuto" dopodiché si volta verso Cumain che lo sta guardando con uno sguardo indecifrabile, forse irritato, forse sopreso.
"Sono ai tuoi ordini!" dice Emeroth senza riuscire a frenare un certo sarcasmo nella voce.
I due gruppi si separano, ma presto, nel aggirare la collina, Emeroth e compagni sono intercettati da un gruppo di Pitti con le loro stesse intenzioni.
"Apriamoci un varco!" urla perentorio Cumain mentre i Celti si lanciano urlando contro i nemici. L'impatto è violentissimo: grida di guerra si mescolano ad urla di dolore mentre morti e feriti si accasciano al suolo da ambo le parti. Emeroth procede determinato con Alfalas, la spada forgiatagli dal padre, salda nel pugno. Mentre procede roteandola a destra e manca più di un nemico cade a terra ferito gravemente dai suoi colpi
Intanto Moctha continua a fare la spola tra la collina, dove letteralmente scendono rivoli di sangue, e il suo signore, stando bene attento a non farsi coinvolgere nella mischia. Il ragazzo vorrebbe avvicinarsi al Re ma il suo senso del dovere nei confronti di Orlaith lo costringe a guardarsi indietro più volte. Una di queste non può fare a meno di notare che Orlaith è in difficoltà: un'accetta di un Pitto ha fracassato lo scudo del suo padrone e l'avversario lo sta incalzando. Moctha strappa da un Celta steso a terra uno scudo e si precipita verso il proprio signore per prestargli aiuto. Un urlo disumano proviene alle sue spalle sulla collina, ma Moctha decide di non fermarsi nonostante il fragore cresca sempre più.
"Vattene ragazzo!" gli ordina Orlaith vedendolo accanto a sé, ma appena riesce a liberarsi dal suo avversario raccoglie lo scudo che Moctha gli sta porgendo.
"Abbiamo promesso alla tua famiglia che ti avremmo tenuto lontano dalla battaglia: vattene ora!" gli ripete Orlaith, ma Moctha non lo sta più ascoltando: ha notato un Pitto che sta arrivando con la lancia spianata per caricare il suo signore. Moctha urla di fare attenzione ma è costretto a passare all'azione: sfodera la spada che aveva raccolto da terra poco prima, devia il colpo della lancia e poi affonda la lama nel corpo del nemico, muovendosi come Emeroth gli ha insegnato.
"Re Connor, sulla collina, ha bisogno di noi" ansima Moctha in preda all'eccitazione e alla confusione. Orlaith raduna i suoi familiari e tutti insieme corrono a dar man forte al Re.
Sulla collina li attende uno spettacolo terrificante: un gruppo di Pitti mastodontici, decorati di blu e dalle braccia ricoperte di sangue, combattono senza armi, a pure mani nude; ma non sono mani qualunque: hanno braccia esageratamente nerborute ed artigli al posto delle unghie, come fossero animali feroci. Lanciano grida gutturali che terrorizzano gli avversari e schiantano gli scudi afferrandoli a mani nude.
Tanai, giunto anch'egli in cima alla collina, si mette al fianco del gruppo del Re che guarda allibito i nuovi venuti e rivolte poi il suo sguardo verso la base della collina, nella speranza di vedere arrivare i rinforzi capitanati da Cumain. Fergus, il campione del Re, fa valere la sua esperienza e la sua abilità ed abbatte più di un nemico che prova ad avvicinarsi allo stendardo che però è costretto ad arretrare. Anche Tanai si fa valere ed abbatte alcuni nemici e nonostante dei colpi lo raggiungano alle braccia e al torace non si perde d'animo e resta al suo posto.
Anche Emeroth continua a combattere e mietere vittime con l'urgenza di arrivare al più presto in aiuto di Connor. Il guerriero mena fendenti a destra e manca fino a quando una fitta dolorosa lo sorprende su un fianco, alle spalle. Emeroth si gira di scatto, pronto a fronteggiare un nuovo inatteso nemico, ma di fronte a sé vede invece Cumain che lo guarda con occhi sorpresi; un pugnale giace a terra fra loro due. Emeroth freme di rabbia all'idea del tradimento che si sta già consumando ma non può far altro che tener testa ad altri due pitti che lo stanno assalendo approfittando della sua distrazione. Emeroth para con maestria il colpo del primo e fa scorrere la sua lama fino a recidere il braccio del suo aggressore; purtroppo però non riesce a fare lo stesso con il secondo avversario che, approfittando della superiorità numerica e della ferita già infertagli, riesce a raggiungerlo di nuovo su quel fianco aprendogli un profondo squarcio e mandandolo a terra mentre il mondo si offusca lentamente.
"Emeroth è ferito!" sente urlare intorno a lui dalla voce di Cumain.
Feilhelm riemerge infine dalle acque, ancora sorpesa e stordita da quello strano viaggio. Le ninfe la sostengono senza tanta delicatezza e la sbattono contro la banchina. L'anziana donna si aggrappa con tutte le sue forze alla riva e si trascina fuori dall'acqua, infreddolita, provocandosi diverse escoriazioni alle mani e alle braccia.
"Ssssei arrivata... " le sussurrano le ninfe mentre le graffiano malignamente le gambe. Feilhelm non risponde nulla ma si allontana dalla loro portata; il buio però non le consente di vedere pressoché nulla.
"Abbiamo assssolto al nosstro dovere..." sghignazzano sotto il pelo dell'acqua le ninfe "Ti abbiamo portata dove Lehin voleva, ma tu ora dovrai trovare da sola la strada per l'uscita. Fai attenzione donna: una via porta alla luce del giorno mentre l'altra all'oscurità perpetua".
Feilhelm, intirizzita e tremante, si tasta attorno nel buio trovando solo rocce appuntite. Piano piano comincia a muoversi a tentoni verso una direzione fino a che un alito di vento non attrae la sua attenzione. Una sottile brezza le sfiora il visto e la donna segue quella piccola traccia, aggrappandosi ad essa come ad una speranza; poco dopo le pare di intravedere una sottile luce e capisce che sta rivivendo il sogno che le ha descritto Nyhallam. Feilhelm non si perde d'animo ma continua nella sua lenta e penosa marcia nel buio fino a che non sente un rumore, come di qualcosa che striscia tra le rocce. La luminosità si fa leggermente più forte e dopo poco le pare che questa provenga da una caverna poco distante da lei.
C'è una sala illiminata da una strana luce fluorescente emessa da alcuni cristalli che si muovono lentamente. Dalla sala partono due uscite: una leggermente in salita e l'altra verso il basso. Feilhelm avverte subito la presenza di un potere antico e molto forte, ma subito la sua attenzione è attratta da un enorme serpente il cui corpo è cosparso dai cristalli della sala. L'anziana donna capisce subito di trovarsi di fronte alla leggenda di Gorgoth, il serpente bifronte, guardiano del Regno dei Morti. Gorgoth possiede un corpo e due teste: una a ciascuna delle sue estremità; la leggenda dice che una testa sia velenosa, mortale e che dica sempre il falso mentre l'altra invece dica solo il vero e dalle cui fauci gronda un nettare che ridona la vita.
"Salute a te Gorgoth, signore di questo luogo" dice Feilhelm mentre con la sua mente ritorna ai miti che spesso ha sentito raccontare dai bardi. La donna sa di poter rivolgere al serpente una sola domanda e che da quella domanda dipende il proseguo della sua missione. Feilhelm, contratta dal dolore e dalla paura, chiude gli occhi per trovare dentro di sé la concentrazione necessaria a formulare la sua domanda, poi si avvicna ad una delle due teste.
"Serpente bifronte: se chiedessi all'altra tua testa se questa davanti a me è la strada che mi condurrà alla luce del giorno, lei cosa mi risponderebbe?" chiede infine.
"Ti risponderebbe di sì!" sibila con una profonda voce Gorgoroth.
"Allora prenderò l'altra strada!" conviene Feilhelm ed imbocca l'latra uscita abbandonando di corsa la sala in preda al terrore. L'anziana, trovandosi di nuovo al buio, inciampa e cade a terra, con una caviglia dolorante per la storta subita. La donna vorrebbe piangere ma si contiene e si rialza, non dandosi per vinta: c'è la vita dei suoi figli in palio! E riprende la sua corsa.
Feilhelm si ferma solo quando finalmente va a sbattere contro un albero: è finalmente fuori dalla caverna e sta albeggiando. La donna si guarda attorno, inebetita e subito un corvo le si posa sulla spalla.
Mentre osserva inebetita la luce diffondersi intorno a lei, nota che deve essere ruzzolata da una piccola apertura poco più in alto. Forse un po' troppo piccola, a dire il vero, se non per lasciar passare un bambino.
"Ti mandano le Morrigan, vero?" dice Feilhelm rivolta al corvo. L'animale la guarda e poi, per tutta risposta, le dà un beccotto sullo zigomo provocandole un taglio dal quale però non esce sangue.
I Pitti sulla collina imperversano e falciano una vittima dietro l'altra. Gli enormi pitti dalle fattezze di grossi orsi feroci sembrano davvero imbattibili. Anche Tanai combatte tenacemente, mentre Connor, poco lontano urla ai suoi di tenere duro, che presto arriverrano i rinforzi; ma il Re quasi non crede alle sue stesse parole: si scambia un'occhiata con il bardo ed entrambi campiscono che è arrivato il temuto momento del tradimento. Moctha intanto resta al fianco di Orlaith anche se questo significa che qualche Pitto, credendo di mietere una facile vittima, gli si avventa contro.
Tanai viene assalito da una coppia di nemici e nonostante riesca a resistere ai ripetuti assalti è allo strenuo delle forze, ferito e grondandante del suo stesso sangue. Come se non bastasse uno dei feroci pitti-orsi gli si para davanti e lo colpisce al torace con una violenta artigliata. Tutto si fa scuro ed ovattato intorno al bardo mentre cade a terra intontito. Al suolo, Tanai vede cadare vicino a sé anche Fergus, sotto le micidiali arpate di un altro nemico e subito dopo è lo stendardo del Re a vacillare ed anche Connor Re dei Celti, cade, stringendo caparbiamente in pugno l'emblema dei McFinn. Tutto è perso e Tanai avverte che i sensi lo stanno lasciando mentre una voce, lontana, grida: "Cumain, Cumain! Arriva Cumain!".
Feilhlem ode i rimori della battaglia, poco lontani. Si rende conto solo all'ultimo, mentre si avvicina alla loro fonte, che poco lontano da lei, le sta correndo incontro Rhian. La giovane ferma la sua corsa ad un passo di distanza da lei, accorgendosi solo all'ultimo istante della sua presenza. Rhian osserva confusa la madre adottiva e poi, spaventata, il corvo che le sta appollaiato sulla spalla. Poi, riprendendosi un poco:
"Devo andare! Devo portare un segno" dice indicando la battaglia con una mano, nell'altra stringe qualcosa avvolto in un panno.
"E' il pugnale di Nyhallam quello?" chiede Feilhelm "Lui è qui? Non è possibile" si risponde da sola la donna.
"Come fai a sapere del pugnale? Lo hai visto? Lui stesso me l'ha dato" si informa sempre più confusa Rhian "Ci siamo incontrati stanotte, come mi aveva chiesto".
"E non ti è sembrato strano?" domanda Feilhelm.
"No, ma era molto serio e non ha voluto che lo toccassi, né che lo baciassi. Mi ha dato il suo pugnale e mi ha detto di consegnarlo a Re Connor, come suggello del patto stretto con Fergus".
"Posso vederlo?" chiede Feilhlem e Rhian glielo consegna. La donna riconosce subito il pugnale di cui il figlio le ha parlato "Nyhallam non può averti voluto dare questo incarico; lui non voleva combattere questa guerra. E poi si trova lontano da qui...".
"Anche tu non dovresti essere qui ora, ti sapevo lontana" dice confusa Rhian.
"Ho preso... un'altra via. Ma tu, stanotte, non hai incontrato Nyhallam. Devi aver visto Lungamano, o Lug, Signore dei Thuata. Resta fuori da questa storia Rhian, non andare avanti".
Rhian rimane estremamente turbata a sentir parlare la propria madre adottiva in questi termini e capisce subito che, sì, è possibile che sia stata raggirata.
"Ma cosa posso fare madre? Sei sicura di quello che dici? Sei sicura che questa sia la decisione giusta?" chiede disperata Rhian.
"C'è bisogno di te laggiù, Rhian. Ma non come vuole Lungamano, ma come ti ho insegnato io: dobbiamo aiutarli con le arti della guarigione e non con gli inganni di Lug".
"Ma io ho promesso. Ho preso un impegno" protesta Rhian. Feilhelm si fa ancora più triste ma sapendo che il suo destino è ormai compiuto alza una mano in direzione di quella sua figlia.
"Passalo a me allora! Lascia a me questo fardello e le sue conseguenze. Vai ad aiutare la tua gente. Sono venuta per salvarti Rhian e non cederò adesso. Devi fidarti di me".
Rhian, sempre più turbata nel sentir parlare Feilhelm in quel modo, capisce però cosa deve fare e consegna nelle mani della donna il pugnale di Fergus. Poi, presagendo qualcosa di buio nel futuro e osservando di nuovo il corvo sussurra alla madre:
"Non lasciarmi sola anche tu!" e una lacrima le riga il volto.
Feilhlem osserva con stizza il corvo che non l'ha più lasciata da quando è uscita dalla caverna: "Il mio destino è già nelle tue mani; ora però vattene!" e dicendo questo scaccia la bestia con un brusco gesto.
"Andrò!" risponde inaspettatamente il corvo "ti aspetterò alla caverna; so che tornerai. Devi farlo".
Rhian abbraccia quindi Feilhelm e più e più volte le bacia il volto e poi le mani, ogni volta il saluto si ripete perché la giovane non riesce ad abbandonare colei che l'ha cresciuta ed istruita.
"Dobbiamo andare ciascuna incontro al proprio destino" dice solennemente Feilhelm. Poi le due donne si separano dal loro abbraccio.
"So che la tua scelta è quella giusta, madre" dice Rhian "è sempre stato così" poi la giovane tace e si allontana dirigendosi là dove è necessario il suo aiuto. Feilhelm rimane ferma ad osservarla mentre la distanza tra le due si fa sempre più grande. Ad un certo punto Rhian si ferma e si volta per cercare lo sguardo di Feilhelm, ma fatica a trovarlo e solo dopo un po' alza la mano nella sua direzione per un ultimo saluto.
Feilhelm, infine, resta sola, con il pugnale in mano e un peso fortissimo sullo stomaco. Dopo un'attimo di indecisione la donna si volta e si dirige alla cavarna dove il corvo è fermo ad attenderla.
Lehin rientra nella caverna delle ninfe, guidato dalla sua lanterna piena di lucciole sfavillanti.
"Sono Lehin, fratello di Lug. Io vi invoco" dice con voce potente. Le acque si agitano e dopo poco, riaffiornao i volti marcescenti delle ninfe, con la loro bocca sghignazzante e bubbolante subito sotto il pelo dell'acqua.
"La rivoglio!" ordina Lehin.
"Non puoi averla! E' morta!" rispondono maligne le ninfe "Ha finalmente pagato per i suoi insulti e i suoi tranelli".
"Rivoglio il suo corpo e lo rivoglio ora!" dice Lehin sempre più risoluto, poi si sfila uno dei suoi anelli e lo getta nel lago. Le ninfe si gettano avidamente là dove il pagamanto per quanto richiesto è stato lanciato.
Dopo poco, sostentuto dalle mani grigie e palmate delle ninfe, riaffiora il povero corpo di Feilhelm: emaciato e gonfio per l'affogamento. Lehin la prende delicatamente tra le sue braccia e la madre delle erbe, ancora una volta, torna ad essere bella e giovane. Poi la fata si volta, uscendo dalla carvena, illuminato solamente dalla sua lanterna di lucciole.