difficili decisioni
Il ritorno di Fergus all'Emayn di Re Connor è ricordato da molti per la forte carica emotiva che trasmise: il campione del Re col volto rigato dalle lacrime, la folta barba rossa bagnata di sudore e sangue, con in braccio il corpo esanime del fratello Gaile. Le celebrazioni di Belthain iniziano così in tono minore, all'ombra di un fatto invero triste e greve. Anche Lonan, il mastino del Re, è irrequieto; molti, vedendolo passeggiare senza posa a fianco del proprio padrone, pensano che avverta la cattiva sorte che ha colpito i cacciatori nel Bosco dei Sussurri ma la realtà è ben diversa e ignota a tutti. Gli ululati del cane non rendono gloria alla scomparsa del guerriero ma ricalcano le urla di dolore della Regina partoriente...
Tanai si trova dunque a fronteggiare una situazione non semplice: ha il compito di presiedere ai festeggiamenti del banchetto di Belthain al posto del suo maestro Ongus, ma il clima è davvero pesante. Il giovane bardo però non si fa scoraggiare e decide di puntare diritto al cuore della faccenda narrando le gesta della Caccia al Cinghiale Bianco, la cui testa è appesa sopra il trono di Re Connor. Tanai dà risalto al coraggio di Fergus e del fratello Gaile, facendo apparire come se quest'ultimo si fosse "eroicamente" sacrificato per proteggere i compagni e riuscire nell'epica impresa. Astutamente, il giovane, inserisce nella storia qualche strofa, dall'apparenza innocua che rievoca, in maniera enigamatica, il suo incontro con gli spettri. Quasi nessuno si accorge di ciò che sta dicendo ma le sue parole sono indirizzate a chi ha orecchi per ascoltare e soprattutto alla Storia... In disparte, piuttosto contrariato e stizzito dalla piega che ha preso la narrazione, se ne sta Emeroth; l'amico bardo - unico testimone alla realtà dei fatti - lo ha relegato in un angolo della storia senza rendere giustizia alle sue coraggiosa gesta. Il giovane guerriero, stizzito e contrariato per non aver avuto nessun riconoscimento, se ne esce dalla sala dei festeggiamenti alla ricerca di Ethain, la figlia di Fergus.
Ongus intanto è decisamente soddisfatto del lavoro del proprio pupillo e si compiace per come egli sia riuscito a risollevare il morale dei presenti. Anche gli altri bardi sfruttano il tema indicato da Tanai e si alternano nel narrare le antiche battaglie tra gli Uomini e i Thuatha de Danaan per la conquista di Eire.
Re Connor intanto presiede alla festa con polso e sicurezza. Il reggente, dopo l'incontro con il suo amico fabbro pochi giorni prima, ha riacquistato il proprio vigore. Con un'intensità ed una affabilità rinnovate, Re Connor rende onore al cacciatore caduto: prende nelle sue mani una coppa di vino speziato e, dopo essersi inciso il palmo, vi fa colare alcune gocce del proprio sangue; Connor beve dalla coppa e poi la passa a Fergus che a sua volta fa lo stesso facendola passare tra i Guerrieri del Ramo Rosso.
Ovviamente anche Cumain (il cugino del Re) partecipa alla festa... forse l'uomo ostenta un'eccessiva goliardia ed uno sforzato buon umore. Il suo gruppo, per contro, appare cupo.
Anche mastro Felab partecipa ovviamente alla festa, ma è completamente assorto nei suoi pensieri: non riesce a non pensare alla spada che sta forgiano per il figlio e il suo occhio cade sulla spada di Re Connor. Il fabbro torna ad ammirare quella sua creazione: le voci dicono sia indistruttibile e il Re la tiene in bella mostra, appesa al muro vicino allo scranno, chiaro messaggio che egli si ritiene pronto a dar battaglia in ogni momento. Ma Felab ora non pensa alla guerra o agli intrighi, ha in mente solo la sua arte e il cuore gli brucia di desiderio per completare la sua opera. La Spada del Re è molto bella, certo, ma egli sa che quella che la succederà sarà ancora più bella e micidiale. Assorto nei propri pensieri e confuso dall'alcool il fabbro non presta ascolto ai diversi interlocutori che gli si avvicinano: molti sarebbero disposti a pagarlo per i suoi servizi ma a lui, tutte quelle proposte, sembrano così banali rispetto a quello che ha da fare. In effetti, a ben pensarci, è davvero da molto tempo che non lavora se non esclusivamente su commesse di Lungamano... d'altronde il resto gli appare come una fastidiosa facciata.
Nei giorni seguenti Emeroth continua a covare il proprio risentimento per non essere stato sufficientemente ricompensato per le sue gesta. Egli avrebbe voluto per sé la pelle del Cinghiale Bianco, ma tale privilegio non è stato suo ma di Fergus. Il Re ha deciso di donarlo al suo campione, come consolazione per la perdita del fratello.
Così al termine dei festeggiamenti il giovane prende il coraggio a due mani e si presenta nelle Sale del Re, con il proprio mantello di aspirante Guerriero del Ramo Rosso piegato tra le braccia. Il Re sta parlando con Cathbadh ed è evidentemente impegnato nell'amministrazione dell'Emayn; ma Emeroth attende pazientemente e quando il Re gli può prestare attenzione lo fa venire avanti.
"Non trovo giusto, mio Signore, il trattamento che mi è stato riservato dopo quello che ho fatto nella caccia al Cinghiale Bianco. Se questo è l'onore e la gloria che mi posso aspettare per le mie azioni non desidero più essere un Guerriero del Ramo Rosso". Emeroth dice queste parole tutte d'un fiato, posando a terra il proprio mantello, tra lo sconcerto di Cathbadh e lo stupore di Re Connor. Anche alcuni tra i presenti si zittiscono nel vedere quello che sta accadendo.
"Emeroth!" dice il Re alzandosi in piedi ma dimostrandosi calmo e conciliante "Tu hai prestato un giuramento che ti vincola a concedermi i tuoi servizi. Sei sicuro di quello che stai dicendo?" chiede il Re in tono neutro.
"Resto certamente fedele al mio Re, ma non posso accettare l'onore di entrare nel Ramo Rosso se non mi viene riconosciuto prima l'onore per le mie azioni" ripete Emeroth.
"Capisco Emeroth... ti ricordo comunque che il tuo nome è stato menzionato più volte in questi giorni come il nome di colui che ha partecipato alla caccia, e in modo decisivo. In ogni caso comprendo il tuo turbamento e forse la voglia di tornare presso la casa di tuo padre, dalla quale manchi da tempo. Accompagnalo indietro al suo Dun e resta con lui per alcuni giorni. Ti aspetto qui alla prossima Luna e in quella sede mi comunicherai la tua decisione".
Mastro Felab, passati i bagordi dei festeggiamenti, continua a ripensare al proprio lavoro. Nella mente, in modo ossessivo, gli torna alla mente la sua fucina, ma da una parte della sua coscienza, una voce gli dice che non può permettersi di lasciar passare Belthain senza sfruttare l'occasione di qualche commissione, di prendere contatto con qualche altro Signore dei Dun vicini. I tempi che verranno saranno difficili e lui avrà bisogno di alleanze e di favori. Facendosi violenza, Felab si mette a cercare uno dei guerrieri con cui aveva parlato durante la prima sera di festa. Il fabbro lo trova in partenza: Odran se ne sta andando perché ha affari urgenti da sbrigare al suo Dun: pare che i Pitti che abitano le zone circostanti si siano fatti più sfrontati ed aggressivi. Felab gli domanda cosa può fare per lui e Odran gli ricorda che poche sere prima gli aveva chiesto uno scudo. Il fabbro ovviamente non ricorda la richiesta, immerso com'era nei propri pensieri, ma accetta la commissione e stringe la mano di Odran per suggellare il patto.
Appena l'uomo sale a cavallo e se ne va, Felab prova subito un sottile rimorso per aver accettato: quel lavoro lo distoglierà dalle sue altre occupazioni... ma i suoi pensieri sono interrotti dall'arrivo di Cathbadh. Il druido del Re viene ad avvisarlo della discussione che suo figlio ha avuto con Connor. Il fabbro è rosso di rabbia ed è un bene che Cathbadh sia venuto ad avvisarlo per tempo. Felab se la prende con la testardaggine del figlio e la sua immatura intransigenza ma poi domanda all'amico perché il Re non gli abbia dato il giusto riconoscimento che gli spettava, evitando così di arrivare a tanto.
"Il Re si è comportato in modo saggio ed intelligente" replica Cathbath "Sai bene che dopo quello che è accaduto nella caccia non si poteva che rendere onore al defunto; ai vivi è dato invece di continuare a ricercare la gloria. E poi, dopo le parole di tuo figlio, cosa avrebbe potuto fare? Piegarsi alle risentite richieste di un ragazzino che ancora non è neppure un Guerriero del Ramo Rosso? Invece ha agito con saggezza, evitando uno scontro frontale e dando tempo ad Emeroth il tempo per ripensare alle sue azioni".
Tanai intanto rivela al maestro la visione che ha avuto nel Bosco dei Sussurri. Il maestro ascolta in silenzio e alla fine, quando il giovane pupillo gli comunica la propria decisione di imparare l'arte della scrittura runica per poter tramandare ciò che i morti gli hanno rivelato, si dice d'accordo ed ammirato dalla decisione di Tanai. I due decidono quindi di ripartire con Felab e di fermarsi al suo Dun dove Tanai potrà imparare da Feilhelm i rudimenti della scrittura.
Così, ancora qualche giorno dopo, Felab e suo figlio seguiti da Ongus e il suo apprendista Tanai, ripartono alla volta del Dun del fabbro. Mastro Felab è visibilmente irritato dalla presenza del figlio ma tenta di celare il suo disappunto, memore di ciò che gli è accaduto qualche anno prima con l'altro suo figlio. La piccola compagnia arriva infine a destinazione sul far della sera. Felab scorge in lontananza la palizzata che recinta il suo Dun e dalla sua fucina esce un filo di fumo. Il fabbro ha un moto di stizza al pensiero che Ronan, il suo apprendista, abbia contravvenuto ai suoi ordini utilizzando la forgia anche dopo il calare del sole; decide quindi di aspettare che sopraggiunga il buio e solo quando è evidente che Ronan non ha spento il fuoco si appresta al cancello. I suoi uomini lo accolgono stupiti, forse non si aspettavano il suo rientro senza essere avvisati, ma Felab è di poche parole e procede a far sistemare i suoi ospiti. Subito dopo si dirige alla propria fucina per trovarvi, ovviamente, Ronan al lavoro. Il giovane è imbarazzato ma non fa mistero di aver avuto contatti con Lungamano, anche se non lo menziona per nome. L'apprendista sta lavorando ad alcuni finimenti per un cavallo. Il fabbro è arrabbiato ma si trattiene e congeda con tono perentorio l'apprendista: "Ora Ronan vorrei lavorare per un po' alla mia fucina".
"Ma maestro..." prova a protestare il giovane però lo sguardo di Felab è sufficiente a farlo desistere. Il giovane si volta e piuttosto abbattuto lascia la fucina.
"Stai tranquillo Ronan, lo so che non ti avevo affidato un compito semplice" conclude Felab prima che questo se ne vada.
Finalmente il fabbro è di nuovo al suo posto! L'uomo è felice e non riesce a trattenersi dall'andare a prendere la sua spada, a cui manca ancora molto lavoro è vero, ma nei suoi occhi egli già si prefigura come questa prenderà forma. Il fabbro poi, nonostante la stanchezza del viaggio, si mette a lavoro e riprende a battere la lama tanto cara. La luna sale alta nel cielo e poi, senza molte sorprese si presenta Lungamano, con la sua presenza così eterea e sovrumana.
"Bentornato Mastro Felab" esordice il figlio di Dana.
"Bentrovato Lungamano! Allora? Cosa ne pensi del mio apprendista?"
"Ha grandi doti e credo che sarà un tuo degno sostituto".
"Lo credo anch'io, ma deve ancora imparare molto. Che lavoro gli hai affidato?" si informa Felab.
"Oh, una cosa semplice: ho bisogno di alcuni finimenti per una montatura".
"Bene Lungamano! So bene di non poterti negare una commissione già avviata ma non posso permettere che il mio apprendista mi disubbidisca apertamente senza ricevere una punizione per questo. Ronan non potrà portare a termine il suo lavoro...".
"Ma noi abbiamo un patto..." fa notare Lungamano.
"...finirò io quel lavoro. Ma in cambio ho bisogno di alcune informazioni. Conosci il cacciatore? E' uno del tuo popolo; dicono che abbia una gran bella muta di cani".
"Può darsi, ci sono molti tra i miei che soddisfano a questa descrizione".
"Ma sono sicuro che uno più di tutti" riprende Felab.
"Facciamo così:" propone Lungamano "perché non andiamo a caccia insieme fra una settimana? Chissà che non incontriamo chi desideri...".
"Affare fatto!".
La mattina successiva Tanai inizia ad esplorare i dintorni del Dun di Felab, alla ricerca di un luogo adatto dove inscrivere la profezia che gli è stata affidata dagli spiriti dei morti. Il bardo compie lunghe passeggiate che durano anche tutto il giorno, tornando alla sua capanna solo alla sera. Finalmente, dopo tanto peregrinare, il giovane trova un luogo che reputa adatto al caso: in una piccola radura costeggiata dai verdi boschi di Erin sorge un tumolo chiamato "La Tomba dei Re". Si tratta di un monumento funebre antico e denso di potere che ricorda la presenza degli antichi Re di Erin, prima che queste valli fossero calcate dal passo dell'uomo.
Nei giorni successivi Emeroth non ha occasione di rimanere con le mani in mano: il padre gli ha affidato un compito da svolgere insieme a Ronan. Emeroth ha rivelato al padre delle macchinazioni di Cumain ai danni di Connor e mastro Felab è rimasto alquanto interdetto nello scoprire che il figlio non ha rivelato niente né al suo padrino, né al suo tutore. Le preoccupazioni di Felab così aumentano sempre più...
Ma il mattino successivo al suo rientro il fabbro fa chiamare Ronan nella fucina e gli comunica la propria decisione di desautorarlo del lavoro che ha iniziato a svolgere per Lungamano. Il giovane non prende per niente bene il fatto e vorrebbe ribellarsi ma l'autorità che esercita Felab sull'apprendista è sufficiente a farlo desistere.
"Invece ho bisogno che tu faccia un'altro cosa per me" dice Mastro Felab "ed è molto importante perché è una cosa che ti affido in massima segretezza: fuori dalla palizzata, nei territori circostanti, ben nascosta ad occhi indiscreti, ho bisogno che tu mi costruisca una capanna. Mio figlio ti aiuterà Ronan" conclude Felab posandogli una mano sulla spalla.
"Sì maestro" risponde il giovane piendo di rabbia, trattenendosi a stento dallo scuotersi dalla sua presa.
Tanai si trova dunque a fronteggiare una situazione non semplice: ha il compito di presiedere ai festeggiamenti del banchetto di Belthain al posto del suo maestro Ongus, ma il clima è davvero pesante. Il giovane bardo però non si fa scoraggiare e decide di puntare diritto al cuore della faccenda narrando le gesta della Caccia al Cinghiale Bianco, la cui testa è appesa sopra il trono di Re Connor. Tanai dà risalto al coraggio di Fergus e del fratello Gaile, facendo apparire come se quest'ultimo si fosse "eroicamente" sacrificato per proteggere i compagni e riuscire nell'epica impresa. Astutamente, il giovane, inserisce nella storia qualche strofa, dall'apparenza innocua che rievoca, in maniera enigamatica, il suo incontro con gli spettri. Quasi nessuno si accorge di ciò che sta dicendo ma le sue parole sono indirizzate a chi ha orecchi per ascoltare e soprattutto alla Storia... In disparte, piuttosto contrariato e stizzito dalla piega che ha preso la narrazione, se ne sta Emeroth; l'amico bardo - unico testimone alla realtà dei fatti - lo ha relegato in un angolo della storia senza rendere giustizia alle sue coraggiosa gesta. Il giovane guerriero, stizzito e contrariato per non aver avuto nessun riconoscimento, se ne esce dalla sala dei festeggiamenti alla ricerca di Ethain, la figlia di Fergus.
Ongus intanto è decisamente soddisfatto del lavoro del proprio pupillo e si compiace per come egli sia riuscito a risollevare il morale dei presenti. Anche gli altri bardi sfruttano il tema indicato da Tanai e si alternano nel narrare le antiche battaglie tra gli Uomini e i Thuatha de Danaan per la conquista di Eire.
Re Connor intanto presiede alla festa con polso e sicurezza. Il reggente, dopo l'incontro con il suo amico fabbro pochi giorni prima, ha riacquistato il proprio vigore. Con un'intensità ed una affabilità rinnovate, Re Connor rende onore al cacciatore caduto: prende nelle sue mani una coppa di vino speziato e, dopo essersi inciso il palmo, vi fa colare alcune gocce del proprio sangue; Connor beve dalla coppa e poi la passa a Fergus che a sua volta fa lo stesso facendola passare tra i Guerrieri del Ramo Rosso.
Ovviamente anche Cumain (il cugino del Re) partecipa alla festa... forse l'uomo ostenta un'eccessiva goliardia ed uno sforzato buon umore. Il suo gruppo, per contro, appare cupo.
Anche mastro Felab partecipa ovviamente alla festa, ma è completamente assorto nei suoi pensieri: non riesce a non pensare alla spada che sta forgiano per il figlio e il suo occhio cade sulla spada di Re Connor. Il fabbro torna ad ammirare quella sua creazione: le voci dicono sia indistruttibile e il Re la tiene in bella mostra, appesa al muro vicino allo scranno, chiaro messaggio che egli si ritiene pronto a dar battaglia in ogni momento. Ma Felab ora non pensa alla guerra o agli intrighi, ha in mente solo la sua arte e il cuore gli brucia di desiderio per completare la sua opera. La Spada del Re è molto bella, certo, ma egli sa che quella che la succederà sarà ancora più bella e micidiale. Assorto nei propri pensieri e confuso dall'alcool il fabbro non presta ascolto ai diversi interlocutori che gli si avvicinano: molti sarebbero disposti a pagarlo per i suoi servizi ma a lui, tutte quelle proposte, sembrano così banali rispetto a quello che ha da fare. In effetti, a ben pensarci, è davvero da molto tempo che non lavora se non esclusivamente su commesse di Lungamano... d'altronde il resto gli appare come una fastidiosa facciata.
Nei giorni seguenti Emeroth continua a covare il proprio risentimento per non essere stato sufficientemente ricompensato per le sue gesta. Egli avrebbe voluto per sé la pelle del Cinghiale Bianco, ma tale privilegio non è stato suo ma di Fergus. Il Re ha deciso di donarlo al suo campione, come consolazione per la perdita del fratello.
Così al termine dei festeggiamenti il giovane prende il coraggio a due mani e si presenta nelle Sale del Re, con il proprio mantello di aspirante Guerriero del Ramo Rosso piegato tra le braccia. Il Re sta parlando con Cathbadh ed è evidentemente impegnato nell'amministrazione dell'Emayn; ma Emeroth attende pazientemente e quando il Re gli può prestare attenzione lo fa venire avanti.
"Non trovo giusto, mio Signore, il trattamento che mi è stato riservato dopo quello che ho fatto nella caccia al Cinghiale Bianco. Se questo è l'onore e la gloria che mi posso aspettare per le mie azioni non desidero più essere un Guerriero del Ramo Rosso". Emeroth dice queste parole tutte d'un fiato, posando a terra il proprio mantello, tra lo sconcerto di Cathbadh e lo stupore di Re Connor. Anche alcuni tra i presenti si zittiscono nel vedere quello che sta accadendo.
"Emeroth!" dice il Re alzandosi in piedi ma dimostrandosi calmo e conciliante "Tu hai prestato un giuramento che ti vincola a concedermi i tuoi servizi. Sei sicuro di quello che stai dicendo?" chiede il Re in tono neutro.
"Resto certamente fedele al mio Re, ma non posso accettare l'onore di entrare nel Ramo Rosso se non mi viene riconosciuto prima l'onore per le mie azioni" ripete Emeroth.
"Capisco Emeroth... ti ricordo comunque che il tuo nome è stato menzionato più volte in questi giorni come il nome di colui che ha partecipato alla caccia, e in modo decisivo. In ogni caso comprendo il tuo turbamento e forse la voglia di tornare presso la casa di tuo padre, dalla quale manchi da tempo. Accompagnalo indietro al suo Dun e resta con lui per alcuni giorni. Ti aspetto qui alla prossima Luna e in quella sede mi comunicherai la tua decisione".
Mastro Felab, passati i bagordi dei festeggiamenti, continua a ripensare al proprio lavoro. Nella mente, in modo ossessivo, gli torna alla mente la sua fucina, ma da una parte della sua coscienza, una voce gli dice che non può permettersi di lasciar passare Belthain senza sfruttare l'occasione di qualche commissione, di prendere contatto con qualche altro Signore dei Dun vicini. I tempi che verranno saranno difficili e lui avrà bisogno di alleanze e di favori. Facendosi violenza, Felab si mette a cercare uno dei guerrieri con cui aveva parlato durante la prima sera di festa. Il fabbro lo trova in partenza: Odran se ne sta andando perché ha affari urgenti da sbrigare al suo Dun: pare che i Pitti che abitano le zone circostanti si siano fatti più sfrontati ed aggressivi. Felab gli domanda cosa può fare per lui e Odran gli ricorda che poche sere prima gli aveva chiesto uno scudo. Il fabbro ovviamente non ricorda la richiesta, immerso com'era nei propri pensieri, ma accetta la commissione e stringe la mano di Odran per suggellare il patto.
Appena l'uomo sale a cavallo e se ne va, Felab prova subito un sottile rimorso per aver accettato: quel lavoro lo distoglierà dalle sue altre occupazioni... ma i suoi pensieri sono interrotti dall'arrivo di Cathbadh. Il druido del Re viene ad avvisarlo della discussione che suo figlio ha avuto con Connor. Il fabbro è rosso di rabbia ed è un bene che Cathbadh sia venuto ad avvisarlo per tempo. Felab se la prende con la testardaggine del figlio e la sua immatura intransigenza ma poi domanda all'amico perché il Re non gli abbia dato il giusto riconoscimento che gli spettava, evitando così di arrivare a tanto.
"Il Re si è comportato in modo saggio ed intelligente" replica Cathbath "Sai bene che dopo quello che è accaduto nella caccia non si poteva che rendere onore al defunto; ai vivi è dato invece di continuare a ricercare la gloria. E poi, dopo le parole di tuo figlio, cosa avrebbe potuto fare? Piegarsi alle risentite richieste di un ragazzino che ancora non è neppure un Guerriero del Ramo Rosso? Invece ha agito con saggezza, evitando uno scontro frontale e dando tempo ad Emeroth il tempo per ripensare alle sue azioni".
Tanai intanto rivela al maestro la visione che ha avuto nel Bosco dei Sussurri. Il maestro ascolta in silenzio e alla fine, quando il giovane pupillo gli comunica la propria decisione di imparare l'arte della scrittura runica per poter tramandare ciò che i morti gli hanno rivelato, si dice d'accordo ed ammirato dalla decisione di Tanai. I due decidono quindi di ripartire con Felab e di fermarsi al suo Dun dove Tanai potrà imparare da Feilhelm i rudimenti della scrittura.
Così, ancora qualche giorno dopo, Felab e suo figlio seguiti da Ongus e il suo apprendista Tanai, ripartono alla volta del Dun del fabbro. Mastro Felab è visibilmente irritato dalla presenza del figlio ma tenta di celare il suo disappunto, memore di ciò che gli è accaduto qualche anno prima con l'altro suo figlio. La piccola compagnia arriva infine a destinazione sul far della sera. Felab scorge in lontananza la palizzata che recinta il suo Dun e dalla sua fucina esce un filo di fumo. Il fabbro ha un moto di stizza al pensiero che Ronan, il suo apprendista, abbia contravvenuto ai suoi ordini utilizzando la forgia anche dopo il calare del sole; decide quindi di aspettare che sopraggiunga il buio e solo quando è evidente che Ronan non ha spento il fuoco si appresta al cancello. I suoi uomini lo accolgono stupiti, forse non si aspettavano il suo rientro senza essere avvisati, ma Felab è di poche parole e procede a far sistemare i suoi ospiti. Subito dopo si dirige alla propria fucina per trovarvi, ovviamente, Ronan al lavoro. Il giovane è imbarazzato ma non fa mistero di aver avuto contatti con Lungamano, anche se non lo menziona per nome. L'apprendista sta lavorando ad alcuni finimenti per un cavallo. Il fabbro è arrabbiato ma si trattiene e congeda con tono perentorio l'apprendista: "Ora Ronan vorrei lavorare per un po' alla mia fucina".
"Ma maestro..." prova a protestare il giovane però lo sguardo di Felab è sufficiente a farlo desistere. Il giovane si volta e piuttosto abbattuto lascia la fucina.
"Stai tranquillo Ronan, lo so che non ti avevo affidato un compito semplice" conclude Felab prima che questo se ne vada.
Finalmente il fabbro è di nuovo al suo posto! L'uomo è felice e non riesce a trattenersi dall'andare a prendere la sua spada, a cui manca ancora molto lavoro è vero, ma nei suoi occhi egli già si prefigura come questa prenderà forma. Il fabbro poi, nonostante la stanchezza del viaggio, si mette a lavoro e riprende a battere la lama tanto cara. La luna sale alta nel cielo e poi, senza molte sorprese si presenta Lungamano, con la sua presenza così eterea e sovrumana.
"Bentornato Mastro Felab" esordice il figlio di Dana.
"Bentrovato Lungamano! Allora? Cosa ne pensi del mio apprendista?"
"Ha grandi doti e credo che sarà un tuo degno sostituto".
"Lo credo anch'io, ma deve ancora imparare molto. Che lavoro gli hai affidato?" si informa Felab.
"Oh, una cosa semplice: ho bisogno di alcuni finimenti per una montatura".
"Bene Lungamano! So bene di non poterti negare una commissione già avviata ma non posso permettere che il mio apprendista mi disubbidisca apertamente senza ricevere una punizione per questo. Ronan non potrà portare a termine il suo lavoro...".
"Ma noi abbiamo un patto..." fa notare Lungamano.
"...finirò io quel lavoro. Ma in cambio ho bisogno di alcune informazioni. Conosci il cacciatore? E' uno del tuo popolo; dicono che abbia una gran bella muta di cani".
"Può darsi, ci sono molti tra i miei che soddisfano a questa descrizione".
"Ma sono sicuro che uno più di tutti" riprende Felab.
"Facciamo così:" propone Lungamano "perché non andiamo a caccia insieme fra una settimana? Chissà che non incontriamo chi desideri...".
"Affare fatto!".
La mattina successiva Tanai inizia ad esplorare i dintorni del Dun di Felab, alla ricerca di un luogo adatto dove inscrivere la profezia che gli è stata affidata dagli spiriti dei morti. Il bardo compie lunghe passeggiate che durano anche tutto il giorno, tornando alla sua capanna solo alla sera. Finalmente, dopo tanto peregrinare, il giovane trova un luogo che reputa adatto al caso: in una piccola radura costeggiata dai verdi boschi di Erin sorge un tumolo chiamato "La Tomba dei Re". Si tratta di un monumento funebre antico e denso di potere che ricorda la presenza degli antichi Re di Erin, prima che queste valli fossero calcate dal passo dell'uomo.
Nei giorni successivi Emeroth non ha occasione di rimanere con le mani in mano: il padre gli ha affidato un compito da svolgere insieme a Ronan. Emeroth ha rivelato al padre delle macchinazioni di Cumain ai danni di Connor e mastro Felab è rimasto alquanto interdetto nello scoprire che il figlio non ha rivelato niente né al suo padrino, né al suo tutore. Le preoccupazioni di Felab così aumentano sempre più...
Ma il mattino successivo al suo rientro il fabbro fa chiamare Ronan nella fucina e gli comunica la propria decisione di desautorarlo del lavoro che ha iniziato a svolgere per Lungamano. Il giovane non prende per niente bene il fatto e vorrebbe ribellarsi ma l'autorità che esercita Felab sull'apprendista è sufficiente a farlo desistere.
"Invece ho bisogno che tu faccia un'altro cosa per me" dice Mastro Felab "ed è molto importante perché è una cosa che ti affido in massima segretezza: fuori dalla palizzata, nei territori circostanti, ben nascosta ad occhi indiscreti, ho bisogno che tu mi costruisca una capanna. Mio figlio ti aiuterà Ronan" conclude Felab posandogli una mano sulla spalla.
"Sì maestro" risponde il giovane piendo di rabbia, trattenendosi a stento dallo scuotersi dalla sua presa.