Saturday, March 11, 2006

un debito è saldato

"Ottimo lavoro Mastro Felab!" esclama compiaciuto Olkan, il giovane figlio di Odran, che ormai anni addietro aveva commissionato a Felab uno scudo per la sua famiglia. In questi anni Felab è stato molto impegnato con la propria spada, al punto di aver quasi scordato la commessa di Odran. Quando anche il committente aveva ormai perso le speranze di ricevere quanto richiesto ecco che il fabbro gli ha comunicato che l'oggetto era finalmente pronto. L'iniziale diffidenza per il tempo passato fugge subito dallo sguardo di Olkan non appena questi può ammirare il risultato.
"Lo devi provare per essere certo della qualità del lavoro" dice Felab sicuro di sé, girando lo scudo e porgendoglielo in modo che lo possa indossare. Olkan alza la guardia ed è visibilmente soddisfatto.
"Leggero e robusto..." commenta l'uomo.
"No, dico di provarlo davvero" continua Felab "posso avere un'arma?".
I servitori di Olkan si guardano e al cenno del loro padrone questi recuperano l'arma del giovane che poi si occupa di sfoderarla e consegnarla nelle mani del fabbro.
"Che ne pensi mastro fabbro?" chiede Olkan riguardo alla spada, evidentemente un dono del padre di cui va fiero. Ma l'esperto fabbro non riesce a contenersi e impugna l'arma con sufficienza, senza rispondere, poi - avvisato Olkan dell'attacco in arrivo - colpisce lo scudo per ben due volte. Lo scudo è semplice da manovrare ma soprattutto dimostra una robustezza fuori dal comune e non si graffia neppure.
"Siamo venti per uno scudo, ma ce ne andiamo con un artefatto! L'attesa è stata lunga, ma ne è valsa la pena" dice Olkan e Felab sorride compiaciuto.
"Ormai sta scendendo la sera, vi prego di restare per la notte come miei ospiti" dice Felab onorando la tradizione dell'ospitalità ed Olkan ovviamente accetta, onorato dell'invito.

L'occasione è buona per parlare degli ultimi avvenimenti che stanno accadendo nei Dun vicini. Gli stranieri raccontano che i Pitti si sono fatti sempre più aggressivi: uccidono uomini e bestiame senza pietà, rapiscono le donne, si nascondono nelle foreste ed attaccano a sorpresa durante la notte. E tutto questo senza una ragione apparente, o almeno mastro Felab e suo figlio Emeroth non riescono a capirla né farsela dire.
"Stiamo andando a chiedere aiuto a Re Connor" dice Olkan "deve aiutarci a combattere contro quei selvaggi; voi siete suoi amici, vero? Si dice che tuo figlio fosse uno dei suoi uomini..." si informa guardando Emeroth, ma prima che questi possa rispondere alcunché mastro Felab risponde puntualizzando.
"Infatti mio figlio è al servizio del Re".
La conversazione poi si sposta sulla Regina Ide. Pare che tornata dalla sua lunga assenza abbia contribuito al governo del Emayn infondendo forza e coraggio nel suo consorte. Anche Lonan, il mastino, è ancora al fianco del Re e le voci a suo riguardo si sono moltiplicate: si dice che sappia distinguere quando parla un bugiardo e che se avesse la parola consiglierebbe certamente il Re giacché gli manca solo il dono della parola...

L'indomani all'alba gli ospiti sono pronti a partire. Montano a cavallo e salutano cordialmente Felab e la sua famiglia. Inaspettatamente, all'entrata del Dun si presenta Lungamano. Felab è contraddetto: il figlio di Dana non si era mai presentato in modo così sfacciato e in pieno giorno; in ogni caso il fabbro fa finta di nulla e continua a conversare con i suoi ospiti, però quando Lungamano si avvicina attacca subito discorso con loro: "Già in partenza, Olkan?".
Il giovane si volta verso di lui, con lo sguardo perplesso. "Sì... ci conosciamo?".
Ma un'intenso (e corrucciato) scambio di sguardi tra Felab e Lungamano mette fortunatamente a tacere quest'ultimo.
"Andate, andate..." conclude Lungamano con stizza e Felab riprende la sua conversazione: "Dite al Re che siete passati da qui, e salutatelo da parte mia".

"Hai lavorato per loro!" dice Lungamano stizzito ed irritato per essere stato zittito. "E' così che sprechi il tuo tempo e le tue energie? E il nostro patto?". La fata si riferisce all'accordo che ha con Felab riguardo all'incontro con il Cacciatore dei Boschi. Lungamano in questi anni ha sempre detto che l'incontro non era una cosa semplice da organizzare ed ha sempre rilanciato il prezzo dell'incontro chiedendo qualcosa in più: dopo le briglie ci sono stati un collare per cani, degli speroni, la punta di una lancia, delle frecce ed ora un pugnale da caccia.
"Non so se posso darti quello che mi chiedi Lungamano" risponde Felab "Sai, noi uomini abbiamo l'uso di onorare gli impegni presi".
"Ma certo" risponde Lungamano "anche noi. E sia io che tu stiamo onorando i patti, cosa stai dicendo?"
"Sono sei anni che devo incontrare il Cacciatore!" sottolinea Felab.
"Mi sto adoperando. Non penserai che si possa incontrare un individuo del genere come si richiede la presenza di un servo?".
"Forse potremmo parlare di un incentivo per te a concludere questa commessa, qualcosa che mi puoi dare fino a quando non avrò ottenuto ciò che voglio".
Lungamano appare stuccato dalle parole di Felab ma è disposto a sentire che cosa propone il fabbro.
"Ormai mi devi molto: rivelami il tuo Vero Nome e sarò sicuro che stai facendo il possibile". Lungamano osserva Felab con occhi ostili.
"Ci penserò..." conclude prima di voltarsi ed andarsene. Nel frattempo nella fucina entra anche Emeroth e Lungamano lo guarda come se lo incontrasse per la prima volta. Cosa gli stia passando per la mente però non è chiaro.

Rhian in questi anni è cresciuta molto e si è fatta donna. Una giovane donna intelligente e bella, che ha imparato molto dagli insegnamenti della sua mastra, la Madre delle Erbe Feilhelm. Questa si è molto prodigata nell'istruzione della sua allieva ed ora è fiera della ragazza, anche se un po' preoccupata perché, nonostante i suoi 22 anni lei non sia ancora legata a nessuno.
Feilhlem in questi ultimi anni ha avuto il suo bel daffare dietro all'istruzione di Rhian e a piccolo Mochta. Come se non bastasse molti sono segni di morte che continuano ad incrociare la sua strada dopo essersi inimicata le Morrigan e il Mastino del Cacciatore: rumori nella notte, come di qualcuno che si aggira nei dintorni della casa, un conglio ferito che l'ha seguita sino all'uscio per poi morirvi davanti, dei panni (di una Bhanshee?) abbandonati sulla riva del torrente.
Feilhelm è concentrata in questi ed altri pensieri, mentre è nel bosco insieme a Rhian per raccogliere delle erbe. A distrarla però è qualcosa di nuovo indosso alla sua pupilla. Rhian porta appuntato al mantello una spilla di argento dalla fattura eccellente. Al centro del fregio celtico vi è una spada che si staglia sullo sfondo di argento bruciato. "Quella spilla ha qualcosa di particolare" si dice Feilhelm, decisa ad andare fino in fondo alla faccenda. Con fare casuale fa cadere apertamente il suo sguardo sulla spilla, poi sorride a Rhian.
"E' carino?" chiede in tono complice, alludendo ovviamente a colui che le ha fatto questo dono. Rhian arrossisce e, ridacchiando, farfuglia qualcosa riguardo ad un tipo misterioso incontrato casualmente nel bosco. Feilhelm cerca di scoprire qualcosa in più al riguardo, ma c'è poco da sapere: pare che il misterioso individuo la seguisse, ma non volesse farsi notare.
"E' davvero molto bello, madre" dice Rhian con voce sognante. Feilhelm capisce subito che potrebbe trattarsi di qualcuno appartente al popolo fatato ed è preoccupata.
"Ti ha fatto un regalo molto impegnativo... come hai detto che si chiama?"
"Sleibhyn è il suo nome" risponde Rhian.
"Devi fare attenzione, potrebbe essere pericoloso" avverte Feilhelm ma senza particolare presa su Rhian.

Giorni dopo Feilhelm chiede a mastro Felab di ospitare un banchetto dove sia possibile ascoltare qualche storia dai bardi: il suo obiettivo è dissuadere Rhian dai suoi pensieri ed attirare la sua attenzione verso altri orizzonti. La donna è preoccupata ma cerca di non darlo a vedere.
"Non mettere la spilla stasera" avverte Feilhelm "attirerebbe l'attenzione di tutti".
Rhian è poco propensa ma alla fine, di fronte all'idea di dover renderne conto, si convince e la consegna alla sua maestra perché la nasconda. Appena Rhian posa la spilla nelle mani di Feilhelm la donna ha una visione.
Vede chiaramente un uomo, bellissimo, che teneremente le consegna nelle mani una spilla di fattura eccelsa e le rivolge un sorriso.
"La mia spilla!" dice piena di emozione Feilhelm nella visione, poi ritorna in sé.
Turbata dalla visione, esce di casa per nascondere la spilla tra le pietre del muretto a secco che delimita la sua capanna. Feilhelm sospetta che ciò che ha visto siano ricordi suoi, obliati dalla mente. Che le Morrigan le abbiano detto la verità quella notte di Belthain di sei anni addietro?

Tanai, ormai anche lui si è fatto un uomo, visita spesso il Dun di Mastro Felab e quella sera Feilhelm gli ha chiesto di raccontare storie riguardanti il popolo fatato, storie nelle quali gli uomini sono vittima dei loro raggiri. In particolare Feilhelm ricorda al bardo la storia di un Thuatha de Danaan che rapisce il cuore di una giovane. Forse il tentativo è decisamente spudorato ma la serata, animata così da quei racconti di storie tragiche, prende una piega un po' dimessa.

L'atmosfera non migliora certamente quando un servitore chiama mastro Felab e gli dice che un mendicante è alle porte e chiede di entrare. Felab vede dunque Irial sulla soglia. L'uomo raramente si presenta in pubblico, consapevole dell'effetto che abbia sulla gente, ma il fabbro lo lascia accomodare e preso Tanai al suo fianco si siede al tavolo con Irial mentre intorno a lui altri bardi continuano a raccontare languide storie di amori delusi.
Irial è muto, ma è capace di farsi comprendere bene: vuole partire. Felab gli chiede perché e poi, di fronte alla complessità dei gesti dell'uomo si fa portare una tazza di farina che poi getta sul tavolo. Il mendicante comincia a disegnare sulla farina, spiegando le sue ragioni. Irial vuole andare alla ricerca di suo fratello e Felab, di fronte alla perplessità di Tanai, confida al bardo che l'uomo che incontrarono anni addietro e che scacciò il corvo in malomodo era in realtà il fratello scomparso Iriol. Dai disegni di Irial, Tanai e Felab comprendono che Iriol in realtà è protetto dal Signore dei Corvi, dalla Dea della Guerra e della Morte. Protetto e soggiogato da lei.
Poi il mendicante disegna una ciotola di cibo e fa capire ai suoi interlocutori che coloi che mangia da quella ciotola potrà vedere i morti. Irial vuole rompere il legame tra la Dei della Morte e il fratello e liberarlo così dalla sua dannazione.
Ma mentre i due cercano di capire qualcosa di più sopraggiunge un altro servitore che avverte Felab che un'altro ospite lo attende alla porta. Felab, che non vuole essere interrotto, delega il figlio Emeroth di occuparsi del nuovo venuto, ma dopo poco il giovane torna indietro.
"Vuole vedere te, padre" e dalla faccia di Emeroth, Felab capisce subito che si tratta di Lungamano.

Fuori dalla sala del banchetto fa freddo e il vento soffia forte. Lungamano osserva il suo interlocutore e poi con tono freddo: "Sono venuto a saldare il mio conto, mastro Felab. E' per stasera stesso o non lo sarà per molti anni".
Felab teme un tranello e dopo tutte le storie narrate al proposito non riesce a non essere intimidito da quella proposta. Cerca di non mostrare timore ma rimane sulla soglia zitto e fermo.
"Sì o no?" incalza Lungamano.
"E sia!" risponde Felab. "Emeroth, accompagnami ti prego" poi avvicinandosi al figlio "se stanotte non dovessi tornare da questo viaggio, vai nella mia fucina e prendi quello che ti spetta". Felab è attanagliato dalla paura e un certo cattivo presentimento gli impedisce di incamminarsi nonostante Lungamano lo aspetti. Il fabbro si mette il proprio mantello e il suo cuore cova pensieri di morte, solo la presenza calma e sicura di Emeroth gli dà il coraggio di partire, seppure tra mille dubbi e sospetti.
Arrivati al limitare del bosco, Lungamano si volta verso i due uomini e gli porge l'estremita di una fune.
"Tenetela saldamente. Non lasciatela per nessun motivo!"
Padre e figlio si scambiano un'occhiata allarmata poi afferrano la corda decisi a non farsela sfuggire. Il viaggio attraverso il bosco ha così inizio. Nonostante siano le zone dove Felab ed Emeroth hanno sempre vissuto è un bosco diverso e straniero, dove soffia un vento ostinato che gela il sangue e le ossa. I due uomini si guardano attorno spauriti, poi il mantello di Emeroth rimane impigliato tra i rami. Il giovane lo strattona perché non può perdere il passo ma voltandosi si rende conto che il mantello è in realtà gherito da un grosso albero che allunga i suoi rami verso di lui. In preda all'orrore ma mantenendo la calma Emeroth si sfila il mantello e continua il viaggio senza.
Ma i guai non sono finiti perché presto i due uomini attraversano un pantano che risulta quasi fatale per entrambi. Emeroth affonda e Felab gli porge la mano per tirarlo su, ma non riesce. Il fabbro strattona la corda per fermare Lungamano che, con voce atona e distaccata replica: "Se non vuole seguirci lascialo indietro". Felab si volta verso il figlio e con un discreto sforzo riesce a trascinarlo con sé.
Infine i tre viandanti giungono ad un tronco, sospeso sul fiume, al termine del quale si alzano altri due alberi. Tra loro, a mo' di tenda, è posta un'argentea e sottile ragnatela che Lungamano solleva per far entrare i suoi ospiti.
La casa di Lungamano è così diversa da quella degli uomini: modellata dalla natura fa parte di essa stessa. E' come una caverna, ma il soffitto è formato dai rami degli alberi che si intrecciano tra loro per fornire un riparo, il terreno è cosparso di morbide foglie dai colori dell'autunno e nell'ambiente alberga una luminosità diffusa prodotta da mille lucciole che vivono lì. Felab rimane ammirato da tanta bellezza e le opere dell'uomo gli appaiono immediatamente così patetiche e modeste, poi la sua attenzione è attirata dai servitori che raccolgono il mantello che Lungamano lascia cadere incurante. Sono piccoli esserini legnosi, folletti che si muovono velocemente e in modo scattoso.
"Benvenuti nella mia casa" dice Lungamano con un sorriso sornione "spero che la vostra permanenza possa essere piacevole".

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