Monday, March 20, 2006

gae bulga

Lungamano intrattiene i suoi ospiti mortali con un'ospitalità impeccabile. Il figlio di Dana conduce la conversazione raccontando diverse storie del suo popolo; storie che spesso hanno molte attinenze con le storie conosciute da Felab e suo figlio Emeroth, ma che se ne discostano anche in modo sostanziale, mettendo in luce, ovviamente, le gesta del suo popolo. Emeroth e Felab sono comunque evidentemente sulle spine, si aspettano un raggiro. Intanto i piccoli servitori di Lungamano si danno da fare per servire il vino al loro padrone e agli ospiti. Al momento del brindisi, quando Lungamano alza la coppa alla salute dei suoi ospiti arriva finalmente il tanto atteso Cacciatore dei Boschi.
"Fratello!" esordisce entusiasta Lungamano ed Emeroth e Felab, nel sentire tale saluto, non possono fare a meno di scambiarsi uno sguardo denso di significato.
Il Cacciatore è un essere più alto e robusto di Lungamano, si muove in modo meno aggraziato ma più deciso. Incede verso il fratello a grandi passi seguito da uno stuolo di piccoli servitori dall'aspetto animalesco (ma non si capisce se vestano di pelli o se tali pelli siano le loro). I servitori di Lungamano portano uno scranno decisamente più regale dei piccoli panchetti su cui siedono gli altri ospiti e il Cacciatore vi si accomoda con fare molto naturale e rilassato, appoggiandosi su di un gomito e prendendo la coppa che gli viene offerta dal fratello.
"Il famoso Cacciatore dei Boschi!" si lascia sfuggire Mastro Felab: dopo tanta attesa finalmente ha l'opportunità di parlarci. Ma la sua esternazione non viene presa molto bene dai due elfi che lo fulminano, disgustati evidentemente da quello che giudicano un intervento fuori luogo. I due fratelli continuano a discutere come fossero soli, mentre i servitori portano un arrosto di cervo. Finalmente il Cacciatore rivolge la propria attenzione verso il fabbro e, senza tante presentazioni, gli chiede come mai lo stesse cercando.
"Il Cacciatore dei Boschi è molto popolare anche tra la mia gente" esordisce Felab, poi volendo prendere la questione alla larga: "Questo è Emeroth, mio figlio, che seppure sia ben lungi da pareggiarvi in bravura vanta già prede importanti nella caccia".
Il Cacciatore, illuminandosi sentendo quelle parole, si raddrizza sul suo scranno e fa portare un arco da offrire ad Emeroth. Quando uno dei servitori consegna l'arco al giovane, Emeroth nota che è disarmato e - dallo sguardo del Cacciatore - è ovvio che la prima prova consiste nel riuscire ad armarlo. Emeroth però riesce nell'impresa senza difficoltà e quando il servitore gli porge tre frecce, Felab nota subito che le punte sono senz'altro di sua fattura.
"Bene! Ti sfido dunque" dice alzandosi il Cacciatore e incamminandosi all'esterno. Tutti seguono l'elfo e questi, una volta fuori chiama a gran voce uno dei propri servitori: "Firnuil!". Uno dei piccoli esseri che lo seguono sussulta nel sentire il proprio nome.
"Signore?" domanda timoroso il servitore che ha lunghe orecchie fulve, simili a quelle di una lepre.
"Fuggi!" ordina il Cacciatore e Firnuil non se lo fa ripetere due volte, si accuccia a terra e comincia a correre a quattro zampe facendosi simile alla lepre alla quale assomiglia.
Il Cacciatore ed Emeroth si lanciano al suo inseguimento, ma Emeroth rimane subito indietro: l'abilità e la fluidità dei movimenti dell'avversario è sicuramente fuori dal comune.

Rimasti soli, Felab e Lungamano, fanno ritorno nella casa di quest'ultimo.
"Sei stato furbo a portare l'attenzione di mio fratello sulla caccia, Felab. Ma è un gioco pericoloso: se Emeroth vince, il Cacciatore si arrabbierà certamente, ma se perde verrà trasformato in uno dei suoi servitori". Il sangue di Felab gli si gela nelle vene ma ormai non può pià fare niente per suo figlio se non augurarsi che sia abile e capace come sempre ha dimostrato in questi anni. D'altrocanto il fabbro comincia a subodorare qualcosa che gli puzza. Lungamano però non torna a sedersi, ma conduce Felab nel sottosuolo, facendolo passare attraverso l'incavo di uno degli alberi che sostengono la propria casa fino ad arrivare in una fucina. Mastro Felab si aspettava una simile mossa e nonostante si fosse preparato a vedere qualcosa che l'avrebbe lasciato ammirato non riesce a rimanere di stucco di fronte alla magnificanza della fucina dell'elfo.
"Non è sempre quello che hai desiderato?" gli dice Lungamano con un gesto della mano dove stringe ancora la propria coppa di vino.
Il fabbro non può fare a meno di ammirare i fuochi accesi in vari punti, tenuti alla temperatura giusta da uno stuolo di servetti che si danno da fare nonostante non ci sia nessuno a guidarli. Appesi alle pareti ci sono gli strumenti più belli che Felab abbia mai visto e certi altri invece non li conosce neppure. Martelli e incudine sono di un metallo tanto nero e lucente da non sembrare veri. Felab è affascinato ed in cuor suo comincia a temere di non essere capace di rinunciare alla proposta che l'elfo sta per fargli. Poi, facendosi forza: "Che senso avrebbe il mio lavoro se poi non potesse essere ammirato dai miei pari? E poi se questa è la tua fucina perché in tutti questi anni hai richiesto i miei servizi?".
Ma l'elfo, stizzito, evade la domanda incamminandosi verso uno dei forni, il più rovente. Al suo interno vi è un curioso pezzo di metallo, splendente per il calore; nonostante l'altissima temperatura, il metallo non pare accennare minimamente a fondersi.
"Vedi questa?" dice l'elfo con un certo orgoglio nella voce "la chiameranno Gae Bulga. Dicono che sarà forgiata da un uomo amico dei Thuatha de Danaan. Un mortale diventato immortale grazie al vino degli elfi" conclude Lungamano girandosi tra le dita la propria coppa e bevendo un altro sorso di vino.
Felab, con un sussulto al cuore, ripensa al brindisi di poco prima dell'arrivo del Cacciatore e la sua espressione si fa dura e arcigna. Poi con la voce fattasi bassa dall'ira:
"E' una proposta o un tranello Lungamano? Perché se fosse un tranello forgerei quella spada solo per tagliartici la gola"
"Sarà un lancia" dice noncurante l'elfo osservando il colore del vino.
"Penetra le carni con la stessa efficacia" conclude il fabbro.

Intanto Emeroth, nel bosco, ha perso di vista la propria preda: la corsa del Cacciatore è troppo più veloce della sua e ben presto si è trovato solo nel bosco, con solo il suo istinto di cacciatore a guidarlo. Dopo poco si ritrova fuori dal fitto della vegetazione, in alto su di un crinale e lontano da lui, senza che questa si sia accorta della sua presenza - la sua preda. Emeroth è emozionato da tanta fortuna, ma non fa in tempo ad incoccare al propria freccia che, in basso, sbuca anche il suo avversario. L'elfo ha già l'arco pronto, da cacciatore esperto qual è, e si accinge a scoccare il colpo. Emeroth ha poco tempo per pensare e piuttosto che concentrarsi sulla preda e finire in pareggio (perché certamente il cacciatore non mancherà il colpo) decide di rischiare il tutto per tutto e mirare alla freccia del cacciatore. Forse a causa della fattura dell'arco e delle frecce o forse a causa delle sue particolari doti, il giovane guerriero riesce nella sua impresa e a pochi metri dall'inconsapevole preda si sente uno schiocco di frecce che si scontrano in volo. La lepre, spaventata dal rumore, scappa via nella vegetazione.
Il Cacciatore alza lo sguardo allibito.
"Hai fatto fuggire la preda!" dice osservando Emeroth.
"E' o non è una gara?" conclude il giovane mentre scivola giù dal pendio pietroso inseguendo la lepre. Dopo qualche altro minuto di inseguimento finalmente Emeroth ritrova il servitore-lepre affannato e che lo guarda dal basso con gli occhi spaventati.
"Fuggi!" dice il servitore.
Emeroth rimane stupefatto dal sentirsi rivolgere quel consiglio.
"Fuggi via. Comunque finisca non puoi che perdere: ti farà diventare uno dei suoi servitori" continua la lepre mentre si comincia ad udire un fruscio nel sottobosco.
Emeroth capisce subito di trovarsi in mezzo ad una trappola: se uccide la preda allora il Cacciatore pretenderà che lui prenda il posto del suo servitore per ripagargli il danno, ma se invece lascia vincere il suo avversario allora questi pretenderà da lui la stessa cosa come trofeo. Emeroth lascia cadere il proprio arco e si avventa sulla lepre a mani nude. L'animale è stupefatto dalla reazione dell'uomo e dopo poco è saldamente trattenuto dalle sue mani.
Quando il Cacciatore sopraggiunge con un sorriso nel volto, sicuro di aver preso in castagna Emeroth, quest'ultimo gli mostra la preda.
"E' ancora viva!" dice mentre il sorriso gli si spegne sulle labbra.
"Certo! L'ho catturata. Ora è mia" risponde sicuro di sé Emeroth "Come del resto la pelle del Cinghiale Bianco..." rincara. Il Cacciatore fissa il proprio sguardo negli occhi di Emroth:è al tempo stesso ammirato e irritato per aver perso. Poi si volta e i due ritornato alla casa di Lungamano.

Nei mesi che seguono si sparge la voce Mastro Felab è scomparso. Si intracciano molte voci sul suo conto ed ovviamente molti danno la colpa ai rapporti del fabbro con i Thuata de Danaan. In sua assenza Ronan, in qualità di apprendista di Felab, prende in carico il lavoro della fucina. Emeroth è silenzioso e lo lascia fare, ma un giorno i due si trovano insieme nella fucina e la discussione si fa subito tesa. Ronan vuole capire se Emeroth ha qualcosa in contrario a che sia lui, d'ora in poi, a gestire la fucina ed Emeroth, senza troppi giri di parole, gli fa capire che l'apprendista può usare la fucina, ma non reclamarla come propria. Tra i due non c'è mai stata molta simpatia, ma ora l'astio è più che mai palese. Mentre i due discutono animatamente arriva anche Feilhelm, senza quasi essere notata.
"Puoi usare la fucina di mio padre" ripete Emeroth "ma sarà tua solo quando troverai il suo corpo". Ronan si sente sfidato ma pare piuttosto sicuro di sé, Feilhelm però - intromettendosi nella discussione - rincara la dose: "Ronan, l'uso della fucina non farà di te il capo di questo Dun".
"Ma Emeroth è il figlio del Re!" fa notare Ronan. In effetti l'educazione di Emeroth è nelle mani di Connor e così anche la sua fedeltà, nonostante gli anni di assenza dall'Emayn del Re.
"Emeroth è libero di tornare alla sua famiglia, ma ricordati che egli non è l'unico figlio naturale di Felab". Feilhelm, neanche troppo velatamente, sta ovviamente accennando a Rhian. Ronan, con le spalle al muro e sentendosi solo contro tutti non può far altro che abbandonare la stanza.
"Ed ora Emeroth dimmi... cos'è accaduto davvero a tuo padre?"

Mastro Felab intanto si sta abituando pian piano alla sua nuova fucina. E più il tempo passa più non riesce a capire come avesse fatto finora a lavorare con i suoi miseri strumenti umani. Il suo cuore non riesce a non esultare per i risultati di grande qualità che riesce ad ottenere. Ma la sua gioia è macchiata dal rimorso di aver abbandonato i suoi figli, di aver lasciato in sospeso tante cose... inoltre i rapporti con Lungamano sono comunque molto tesi.
Un giorno l'elfo torna nella fucina in compagnia del fratello, il Cacciatore dei Boschi.
"Allora mastro Felab? Come ti trovi nella tua nuova fucina?" chiede Lungamano.
Il fabbro, per protesta, abbassa il suo martello e smette di lavorare.
"Non credere di essere il mio signore Lungamano" risponde stizzito Felab.
"Non lo sono" gli risponde l'elfo "... piuttosto siamo tutti strumenti nelle mani del Destino" dice sottovoce, poi guarda verso il forno dove il metallo che un giorno sarà Gae Bulga è sempre compatto e lucente, quasi indifferente al fuoco.
"Perché dici questo fabbro?" chiede infine Lungamano.
"Ero un signore tra i miei pari ed ora sono tuo prigioniero"
"Prigioniero? No mastro Felab, non sono io a trattenerti, se vuoi sei libero di andare. Se è questo quello che il tuo cuore vuole davvero".
E nonostante la voce grossa e l'orgoglio ferito dall'essere caduto in un tranello, mastro Felab sa che Lungamano ha ragione: i desideri del suo cuore lo trattengono in questo posto. Poi Lungamano si fa da parte e salutando con un semplice cenno della mano riprende le scale, lasciando il Cacciatore libero di parlare con il fabbro.
"Mi volevi parlare?" chiede il Cacciatore incuriosito "Mio fratello mi ha detto che sei tu ad aver forgiato la punta delle mie freccie".
"Sì, molto di ciò che porti proviene dalle mie fucine. In ogni caso volevo parlarti della tua muta di cani. Tra loro vi era un cane molto bello, il più forte, che consideravi come un figlio".
"Sono affezionato a molti dei miei cani" conferma il Cacciatore.
"Ma uno in particolare si addice a questa descrizione. Parlo di Lonan, il mastino che hai dato a Re Connor. Non ti manca?"
A sentir parlare di Lonan, il Cacciatore dei Boschi si fa più attento.
"Anche se mi mancasse non posso farci nulla. L'ho dato in dono, ora non posso averlo indietro".
"Una donna mi ha detto però di aver parlato con quel cane in una notte di 6 anni fa. E il cane disse chiaramente che tu eri ancora il suo padrone" riprende Felab.
"E con questo?".
"Se volete che forgi Gae Bulga voglio quel cane a guardia di questa fucina!".
Il Cacciatore, di fronte alla richiesta di Felab, rimane interdetto e silenzioso, poi la discussione è interrotta dal rumore di passi che scendono dalle scale. Subito dopo fa il suo ingresso una bambina all'incirca di 8 anni.
"Padre?" chiama la bimba avvicinandosi al Cacciatore. Felab capisce immediatamente che quella bambina altri non è che la primogenita di Re Connor: non fu sbranata dal mastino, ma portata al Cacciatore come pagamento per aver ceduto il mastino al Re.
"Come un figlio era per te il tuo mastino. Ed un figlio hai avuto..." chiosa Felab.
"Una figlia" precisa il Cacciatore.
"Il cuore di un padre non fa differenza tra maschio e femmina".

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