Thursday, November 16, 2006

tronchi e nebbia

Il Dun Iboar è vicino, anche se la nebbia è fitta; Tanai è accompagnato da Ainnir in persona e da suo figlio maggiore Dallan. Hanno raccontato al bardo che il problema per cui l’hanno chiamato nasce dal figlio minore, Abban, il quale ha iniziato una inaccettabile relazione con la figlia del capoclan del Dun nemico, il Dun Iboar da cui stanno andando. Li accompagnano tre guerrieri, e quando gli capita di essere un po’ più lontano, Tanai li vede confabulare tutti tra loro: forse si stanno pentendo di aver accettato il suo giudizio.

Sentono più di un corno in lontananza e dapprima li scambiano per un’accoglienza con fanfara, poi vedono un drappello di cavalieri scendere coperti dalla nebbia. Giunti più vicini, i cavalieri si fermano sorpresi. Sono armati di tutto punto: «Sono loro, sono loro i cani Ainnir!» urlano sguainando le spade. Tanai tuona con voce imperiosa: «Fermi! Se levate le spade contro un bardo 7 volte 7 anni di maledizione su di voi!» I cavalieri si fermano esterrefatti, e uno di loro, il più anziano, Iboar in persona, lo riconosce come il bardo braccio destro di Re Emeroth.

Ma gli animi non sono placati, i due gruppetti si fronteggiano, e i nuovi venuti si rivolgono al bardo in modo sprezzante: «Parla Tanai, perché ti accompagni a questi cani Ainnir?»
«Ero venuto a giudicare una questione tra i vostri due clan, ma ora vedo che ci deve essere dell’altro. Cosa accusate a questi uomini?»
«Ignoro cosa ti abbiano raccontato, ma sei stato di sicuro ingannato. Hanno ordito un complotto, e Abban, suo figlio minore -dice Iboar indicando Ainnir- ha rapito la bella Naiti, mia figlia più giovane»
«Bugiardo- lo interrompe Iboar- mio figlio Abban si trova a nord, a caccia»

A Iboar non interessa continuare oltre la discussione, vuole tornare all’inseguimento del rapitore e dalla rapita «E tu, giudice Tanai, puoi continuare il tuo cammino fino al mio Dun, dove sarai il benvenuto, ma separati dagli Ainnir, non ti mischiare con loro»
Tanai non è d’accordo: «No, andremo tutti insieme alla ricerca dei due giovani»
Iboar protesta: «Non voglio mancarti di rispetto, ma...»
«Allora NON lo farai!» taglia corto Tanai, con un’intonazione che non ammette repliche.

Ainnir si avvicina a Tanai per ribadirgli con un sussurro che il figlio stesso gli ha detto che sarebbe partito per la caccia verso il nord, e suo figlio Abban non gli avrebbe mai mentito. Tanai si mantiene neutrale: «Non farmi prendere posizione anzitempo»

Dopo poco li trovano: un ragazzo in corsa, coi capelli lunghi color rosso fuoco e in braccio una ragazza con biondi capelli così lunghi da strusciare in terra.
C’è un baratro, e un tronco disteso che fa da ponte e unisce le due sponde: «Fermatevi, nel nome del Re» urla loro Tanai.

Il ragazzo si volta in mezzo al ponte «Ce l’abbiamo fatta! Non potete seguirci su questo ponte. Andatevene, né io né lei vogliamo tornare ai nostri clan!»
«Aspetta –cerca di convincerlo Tanai- se hai coraggio torna indietro e rimettiti al mio giudizio»
«Devi essere Tanai, visto che mio padre ha mandato a chiamare lui. Puoi tornare dal Re, perché qui un clan non avrà più l’aiuto di un figlio e un altro avrà il conforto di una figlia in meno»

La rabbia è palese nell’aria, gli inseguitori di entrambi i clan sono esterefatti. Il fratello della ragazza propone una sfida, Tanai cerca impedire che avvenga, ed è un compito fin troppo facile perché Abban, nonostante le accuse di codardia, non ha intenzione di accettarla: «Non accetto sfide dal figlio di un TRADITORE». Questo infiamma ancora di più gli animi. Solo la voce di Tanai riesce a ridurre tutti al silenzio. Con calma si avvia sul tronco, rivolgendosi ad Abban: «Raccontami il tuo punto di vista e se ti troverò dalla parte della ragione farò in modo che tu te ne vada con la benedizione degli Dei»
«Sono già in pace con me stesso, e non mi importa dell’onta di cui vorrà ricoprirmi il Clan»
«Sciocco egoista, non è con te che devi essere in pace: non pensi ai figli che avrai?»

Le parole di Tanai sembrano fare breccia nella sua granitica convinzione, ma quandi Tanai gli chiede cosa ne pensa di quella fuga la ragazza, che non ha aperto bocca e sembra anzi svenuta tra le sue braccia, Abban rilancia le sue accuse, puntando il dito verso il padre di Naiti «Tu hai ucciso il tuo stesso fratello. E persino tu –dice indicando suo padre Ainnir- sei colpevole di un tradimento macchiato di sangue!»

Le sue parole sono un tremendo affronto per entrambi i clan, che difficilmente potrà essere dimenticato o perdonato. La conversazione torna poi al prolungato silenzio della ragazza: Abban sostiene che è svenuta per l’emozione e raggiunge l’altra sponda del dirupo, dando poi un calcio al tronco.


Intanto, in tutti altri luoghi anche se non molto distanti, Re Emeroth e Olcan: una vera coincidenza e un vero piacere, visto che Olcan è uno dei guerrieri più fedeli del Re, uno di quelli che non se ne è andato scoraggiato.
«La nebbia si infittisce, mio sire, e questo favorisce i Pitti. Permettimi di andare in avanscoperta, visto che conosco bene queste zone»
Olcan parte, con l’idea, visto che c’è, di cercare anche Mochta che ancora non si è fatto vivo. Tra i suoi compagni c’è anche Elcain, l’alfiere («Vieni anche tu, che hai gli occhi buoni»).

Tutti i sensi di Olcan lo avvisano che c’è qualcosa che non va: gli si rizzano i capelli sulla nuca, forse un agguato? Non riesce a capire.
E’ Elcain ad accorgersi che il Dun Ainnir sta bruciando. Corvi e cadaveri in abbondanza, ma non sembra esserci più nessuno di vivo , né tra i Celti né tra i Pitti.
Olcan scende da cavallo: «Non è possibile che la terra chieda altro sangue» dice piantando la spada per terra. E’ in cerca di una visione, ma quella che ottiene è spaventosa: la spada si conficca in una spaccatura e del sangue sgorga copioso e nero, risalendo lungo la lama. «Estraete le armi –grida Olcan spaventato- dobbiamo andarcene di qui ed avvisare il Re!». In effetti sono già circondati da Pitti.

Riescono a fuggire per un pelo, e inseguiti da un’orda di Pitti che spuntano dal nulla della nebbia.

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