Thursday, September 28, 2006

tempo di scelte

Emeroth giace stanco di fronte al fuoco del suo accampamento. I clan visitati l'hanno sì ascoltato, ma anche messo alla prova come nuovo Re e non hanno mancato di far sentire le loro richieste. I celti non sono un popolo timido ma le incursioni dei Pitti l'hanno reso ancora più sfrontato ed a farne le spese ora è appunto Emeroth.
Il giovane Re vorrebbe il suo caro amico Tanai accanto a sé e comincia a temere di avere sbagliato a mandarlo altrove, ora che gli sarebbe utile come consigliere. Alle sue orecchie poi sono giunti mormorii ed illazioni che hanno dell'assurdo: alcuni celti pensano che il Re abbia allontanato Tanai temendo che quest'ultimo potesse diventare troppo popolare. "Si sa" mormorano le voci "Tanai mira al potere, è già riuscito a scalzare Cathbad facendolo sperdere chissà dove".
Emeroth continua però il suo viaggio, spronando i celti a stargli accanto e seguirlo in questa dura battaglia contro i Pitti; spesso è chiamato a formulare giudizi e finora è riuscito ad uscirne dignitosamente. Durante le feste, che molti offrono in onore del Re, Emeroth non si lascia mai andare alla malinconia o alla tristezza, ma partecipa sempre dimostrandosi energico e pronto a raccontare le sue storie (anche se qualcuno dei suoi amici non ne può veramente più di sentir parlare del Cinghiale Bianco!). Ed è anche l'occasione per aprire bene gli occhi e capire davvero chi gli è fedele e chi invece si potrebbe rivelare un infido traditore.
Ogni nuova visita di Emeroth nei Dun richiede inoltre che il Re si dimostri generoso e così è: Emeroth e il Ramo Rosso si mettono sempre a disposizione, operando anche umili lavori come riparare gli steccati che hanno bisogno di essere riparati, oppure partecipando alla caccia contribuendo così a ritornare dalle battute con ricchi bottini di selvaggina.
Ma lo scopo principale di queste visite è radunare i guerrieri sotto il suo stendardo, facendo sì che si fidino di lui.
"Vi aspetto per Belthain, al passo di Pratolungo" continua a raccomandarsi Re Emeroth. Non tutti sono pienamente convinti ma pochi hanno il coraggio di dissentire apertamente e costoro sono i più pericolosi. A chi si oppone apertamente all'idea Emeroth sa come ribattere e prima o poi riesce a spuntarla.
In un Dun, che si è dimostrato particolarmente coriaceo, Emeroth perde pure la pazienza.
"Basta così!" alza la voce ad un certo punto della discussione "Sfido il vostro guerriero più forte: se ce la farà a battermi vuol dire che siete davvero capaci di difendervi da soli dai Pitti ed allora potrete fare come vi pare. Se vinco io però dovrete presentari a Pratolungo".
La gente rimane stupita dalle sue parole. Il Re, normalmente, non si espone così in prima persona: è pericoloso e poi, se perdesse, rischierebbe di infangare la propria reputazione. Molti mormorano che combattere sarebbe un compito per il campione del Re ed altri approfittano per chiedersi dove sia andato Cumain...
"Non darmi vantaggio perché sono il Re" dice Emeroth al giovane ragazzo che si sta facendo strada verso di lui, il figlio del signore del Dun "oppure trasformerò in tragedia questa piccola dimostrazione". I due si armano con due lunghi bastoni, pronti ad affrontarsi. Il ragazzo è forte ed abile, ma non può niente contro l'abilità di Emeroth e dopo poco il giovane giace riverso a terra dolorante.
"Tuo figlio è capace" dice Emeroth al signore del Dun "ti offro di prenderlo sotto la mia custodia, nel Ramo Rosso". La faccia di molti cambia dopo aver sentito l'offerta: non solo Emeroth è riuscito nel suo intento ma sta anche facendo un grande onore ai suoi ospiti.
Mochta è orgoglioso di Emeroth ma si accorge con malincuore che il suo padre adottivo Olcan non ha la stessa stima nei confronti del Re: il malcontento serpeggia anche dove non ce lo si sarebbe aspettato.

Intanto Tanai e Cumain dovrebbero ormai essere di ritorno dalla loro impresa. Scarse però sono le voci che li precedono ed Emeroth non riesce ad avere loro notizie. Cumain ogni notte è sempre più inquieto e spesso si sveglia a causa degli incubi.
"Andate via, lasciatemi in pace! Non la troverete mai!" urla una volta spaventato. Tanai, che sta ascoltando tutto, fa invece finta di essere addormentato ma dopo un po' Cumain gli si avvicina e fa per svegliarlo.
"Non posso più tacerti bardo" gli dice Cumain "devi seguirmi, devo mostrarti una cosa".
Tanai si volta e lo guarda negli occhi. Il Campione del Re è sconvolto. Mormorando un cenno di assenso Tanai si alza in piedi pronto a seguirlo. Le colline sono brulle e le leggende narrano che siano state ridotte così dai Fir Bolg. Cumain però pare piuttosto sicuro di sé e conduce Tanai nonostante la fioca luce della Luna calante.
"A volte Cumain mancava dal Dun" riflette Tanai "forse venia qui. O forse tornava al suo Dun, da Ethain". Le voci dicono che la moglie di Cumain sia di rara bellezza e che tanto abbia fatto lui per conquistarla tanto poco, dopo, per mantenerne l'affetto. Ethain, era la figlia di Fergus, il Campione di Re Connor McFinn... alcune voci dicono che Cumain l'avesse sposata per interesse. Ma ora l'attenzione di Tanai è rivolta al terreno che, stranamente, si è fatto pieno di crateri ed innaturali rivoltamenti. Il panorama è decisamente inquietante.
"E qui! E qui!" sussurra Cumain "E' qui che l'ho nascosta" ed una volta fatta questa piccola rivelazione Cumain parla con più facilità. "Loro la cercano sempre, rivoltando il terreno e venendo nei miei sogni".
Alla fine Cumain si fa strada all'interno di una caverna e dopo essersi guardato intorno con fare guardingo raccoglie da sotto un cumulo di sassi un panno che svolge e mostra a Tanai. Gli occhi di Cumain sono febbricitanti dall'emozione.
Tanai vede che l'uomo ha in mano una pietra cubica e capisce subito che questa emana uno strano potere. Il bardo riconosce immediatamente la pietra che Emeroth gli ha raccontato di aver trovato durante la sua Ordalia in compagnia di Cumain.
"E' un potere antico, che si può plasmare" dice Cumain.
"Allora sei tu" risponde invece Tanai "colui da cui Cathbad ci ha messo in guardia"
"Sì! Ma io non sono in grado di evocare questo potere Tanai... ma tu sì. Ed Emeroth ora è lontano e non possiamo chiedere il suo consiglio"
"Cumain, non credo che i Vermi della Terra ci ubbidirebbero" interloquisce Tanai.
"Ma sì invece! Io ci ho già parlato e quasi sono riuscito a dominarli. Questa pietra ha una grande influenza su di loro e tu saprai certamente trovare il modo giusto di usarla".
Ma nessuna delle parole che prova ad utilizzare Tanai ha l'effetto di calmare Cumain, sempre più eccitato. Cumain dice che c'è poco tempo, che devono sbrigarsi, che loro la cercano di continuo.
"Vieni! Vieni ora Tanai" dice infine con un sorriso invasato Cumain, poi esce dalla caverna, seguito dal bardo, sempre più sbalordito.
"Aspetta Cumain! Stai per chiamare forze che non saprai controllare!" avverte Tanai.
"Io no! Ma tu sì! E dovrai farlo ora! Vi chiamo ancora una volta, Vermi della Terra" urla il Campione del Re.
La luna si oscura, mentre con sgomento Tanai capisce che la valle si sta riempendo di presenze ostili...

Sale la nebbia nell'accampamento del Re. E' una nebbia strana e mano a mano che sfiora le i celti questi si addormentano o cadono addormentati a terra. Anche Mochta cede allo strano sonno che sta avviluppando l'accampamento. Maleya invece segue da lontano il corteo del Re e percepisce anche lei la stranezza nell'aria. Con un certo timore osserva sopraggiungere tre figure che si fanno strada, lentamente, tra i corpi dei celti addormentati. Le sentinelle non possono dare l'allarme e le figure continuano la loro passeggiata indisturbate. Maleya si avvicna all'accampamento ma subito un buon numero di corvi neri come la pece atterrano di fronte a lei per sbarrarle il cammino. Maleya cerca di ignorare le bestie anche se è difficile farsi strada tra la nebbia, i corvi e i celti svenuti a terra. Alla fine Maleya inciampa sul povero Mochta e così facendo lo risveglia dal suo sonno. Mochta è spaventato ma teme per Emeroth: rialzatosi in piedi giunge presso di lui poco dopo le tre figure.
"Salute a te, Re Emeroth" dice sorniona una delle Morrigan.
"Salve a voi, arpie" risponde sicuro il Re.
"Rechiamo visita al Re dei Celti" esordisce la Madre "e speriamo che la cosa non ti disturbi".
"Temo che non sia una visita di cortesia..." continua spavaldo Emeroth.
Maleya si nasconde dietro ad un cespuglio, ma Mochta invece si affianca ad Emeroth pensando ingenuamente di poterlo difendere. Le tre donne si fermano ad osservare il ragazzo, con gli occhi socchiusi di chi studia una preda, poi sorridono. Mochta estrai il suo coltello ma le Morrigan non prestano già più attenzione a lui, ora.
"Re Emeroth, ci rechi un'offesa accogliendoci con una lama; noi veniamo per discutere con te, per portare un'offerta, ma se preferisci ce ne andremo" dice infine la Vecchia.
"Sedetevi e parliamo" dice infine Emeroth costringendo Mochta a rinfoderare la sua arma.
"Noi teniamo alla sorte degli uomini" dice la Giovane "e desideriamo che tu possa regnare a lungo: veniamo a portarti la nostra amicizia ed un consiglio".

Un bimbo albino piange disperatamente mentre intorno a lui salgono alte le fiamme. Nelle vicinanze una mano giace morta e forti si levano le urla della battaglia.

"Tuo figlio è in pericolo ed anche tua moglie" dice la Madre. "Non arriverai in tempo per salvarli".
"E quindi cosa proponete?" chiede Emeroth cercando di mantenere un'aspetto distaccato.
"Noi potremmo arrivare per tempo e sarebbe un modo per dimostrare la nostra amicizia verso il Re".
"Ed in cambio, cosa volete?"
"Lasciaci usare il Calderone di Taran. Potremo opporci alle forze che muovono questi eventi, i tuoi nemici, i nostri nemici, i nemici del tuo unico figlio".
"Sapevo già a cosa andavo incontro scegliendo di intraprendere questo viaggio" mente Emeroth.
"Stai cercando di dirci che hai già sacrificato tua moglie e tuo figlio?" sbuffa la Madre "Non ti crediamo" risponde la Vecchia mentre la Giovane sorride astutamente.
"Vai via Mochta" ordina infine Emeroth ed anche se non vorrebbe il ragazzo è costretto ad obbedire.
"Va bene" cede infine Emeroth "potrete usare il Calderone, ma prima ditemi: potrò controllare i Vermi della Terra per sconfiggere i Pitti?"
"Dopo quello che è accaduto in passato?" risponde la Madre "MAI i Fir Bolg si piegheranno ai loro carcerieri, a meno di legarli in un gioco davvero, davvero pericoloso".

Tuesday, September 12, 2006

un dono inaspettato

Emeroth continua a ricevere molte lamentele, sempre più accorate, riguardo le razzie che i pitti continuano ad effettuare nei Dun di Erin. Quest'oggi è Liobad a portare la sua storia al Re perché questa venga valutata e il Re intervenga in qualche modo: lo scorso anno il suo Dun venne saccheggiato e il fratello di Liobad restò ucciso in quell'evento; durante l'inverno passato il Dun è stato ricostruito in mezzo a mille fatiche, nella speranza di un'estate più serena. Ed invece le razzie sono riprese, lì come nei Dun vicini.
"Dopo la grande battaglia che ha visto la morte di Re Connor i pitti stanno riprendendo coraggio" pensa preoccupato Emeroth, consapevole che deve far qualcosa prima che sia troppo tardi.
"Ruadan mi ha rifiutato il suo aiuto" si lamenta ad un certo punto Liobad. "Il suo Dun è riparato dalle scorrerie dei pitti eppure lui non fa nulla per aiutarci ma anzi: ci ha negato il suo sostegno con la scusa che doveva pensare a proteggere il suo bestiame". Liobad mostra tutto la sua indignazione per il comportamento egoista del vicino Ruadan: è chiaro che le difficoltà lo stanno portando all'esasperazione.
"Tu devi fare qualcosa!" reclama infine Liobad ad Emeroth "Devi trovare una soluzione perché la situazione non è più sostenibile".
Gli occhi dell'uomo guardano ad Emeroth ed il nuovo Re sente di nuovo su di sé il peso delle aspettative del suo popolo. Liobad è venuto accompagnato dai suoi figli ed anche questi guardano al Re. Emeroth, che solo l'anno passato si trovava ancora nel suo autoesilio con il pascolo, si trova catapultato in una situazione che non è sicuro di saper gestire; eppure l'uomo si alza in piedi perché mentre le richieste si affastellavano l'una alle altre, ha avuto modo di pensare ad un tentativo di soluzione.
"Avrai l'aiuto che ti serve" esordisce quindi Emeroth "chiamate Cumain". Un ragazzino parte e va a cercare Cumain "occhi di ghiaccio" che Emeroth, consapevole di dovergli riconoscere il ruolo di "salvatore" che il popolo gli ha dato in battaglia, ha nominato suo Campione.
"Mi hai fatto chiamare?" dice Cumain tra l'entusiasmo generale dei presenti.
"Trova qualcuno che possa sostuirci alla guida nell'Emain perché abbiamo da fare: io ed Garbhan partiamo per il Dun di Ruadan" ordina Emeroth. Un certo brusio si sparge per la sala: tutti avevano creduto che Cumain, il braccio armato di Emeroth, sarebbe stato incaricato di sostenere Liobad.
"E per cosa mi hai chiamato?" chiede tra lo stupito e il confuso Cumain.
"Tu invece dovrai partire insieme a Tanai alla ricerca di Cathbad..." gli risponde ghignante Emeroth.
Emeroth ha intenzione di partire il prima possibile per chiarire a Ruadan e a quanti altri avranno qualche dubbio che i celti dovranno essere uniti per sconfiggere la minaccia dei pitti e certi atteggiamenti egoistici non potranno passare inosservati agli occhi del Re. Durante il suo viaggio visiterà diversi Dun per poter stringere nuovi accordi i vari clan; non per ultimo si recherà al Dun dove sua moglie e suo figlio si sono ritirati da tempo a causa di una malattia che sta affligendo Aliesin.
Anche Liobad è frastornato: non si aspettava tanto; l'uomo è ammirato e riconoscente e si getta plaealmente ai piedi di Emeroth.
"Prendi mio nipote e portalo con te, perché anche lui ti sia d'aiuto in questa faccenda" chiede Liobad.

Nei pochi giorni che lo separano dalla sua partenza Emeroth realizza che allontanandosi dall'Emain sarà costretto a lasciare indietro molte questioni. Il viaggio durerà almeno un mese, nell'ipotesi più fortunata, e la giustizia del Re dovrà essere comunque amministrata con saggezza da qualcuno di fidato. Emeroth non ha molti contatti a cui rivolgersi poiché la sua vita in solitudine al Dun di suo padre l'ha, tutto sommato, piuttosto isolato.
"Chiamatemi il vecchio Ruarch" ordina infine Emeroth. Ruarch era un giudice brehon ormai anziano che aveva vissuto un forte dramma familiare: sua figlia era scomparsa in circostanze misteriose e lui aveva viaggiato molto nella speranza di ritrovarla; l'uomo infine si era arreso all'idea che la figlia fosse morta ed infatti, quando Emeroth e Cumain tornarono all'Emain con il Calderone di Taran, aveva chiesto di poterlo ammirare. Emeroth gli aveva letto negli occhi il desiderio di utilizzare l'artefatto per poter rivedere sua figlia.
Emeroth lo prende ora da parte per stipulare con lui un patto.
"Ruarch questa è la scelta che io ora pongo di fronte a te: parti ora alla ricerca di tua figlia, Cumain e Tanai saranno con te ma ti avverto che avrai poco tempo e sopratutto non tollererò ritardi al punto che ordinerò a Cumain di non esitare ad ucciderti se sarai d'intralcio alla loro missione. L'alternativa che ti chiedo invece richiede la pazienza di aspettare ancora qualche mese nei quali dovrai esercitare il tuo saggio pensiero per reggere l'Emain in mia assenza, dirimendo le questioni che si presenteranno".
"Rimetteresti nelle mie mani la voce del Re!?" esclama tra lo stupito e il preoccupato Ruarch.
"Sì!" risponde serio Emeroth guardando l'uomo in volto e cercando di mostrarsi il più sicuro ed imperioso possibile. "E dopo avrai tutto il tempo che vorrai per la tua ricerca".
"Va bene" dice l'uomo dopo averci pensato. "Accetto le condizioni: eserciterò la legge in tua assenza".
I due si stringono la mano per suggellare quel patto.

Il giorno successivo è dedicato ai preparativi del viaggio. Metà dei guerrieri del Ramo Rosso accompagneranno il Re: sono coloro che provengono dai Dun che Emeroth ha intenzione di visitare; agli altri invece è stato chiesto di rimanere a guardia dell'Emain del Re. Qualche malumore serpeggia tra i guerrieri che, normalmente, durante la stagione invernale trascorrono il loro tempo presso i loro Dun, con i propri clan.
Cumain inoltre è piuttosto perplesso dalla scelta di mandarlo con Tanai a cercare Cathbad.
"Sono il tuo Campione, non dovrei venire con te Emeroth?" chiede infine Cumain.
Emeroth gli risponde senza distogliere lo sguardo da quello che sta facendo "Avevo capito, qualche giorno fa, che le tue richieste fossero altre rispetto alla volontà di seguirmi..." poi solleva lo sguardo per fissarlo in quello di Cumain "la ricerca di Cathbad ci sarà utile a trovare aiuto, non credi?"
Cumain però è poco convinto: "Qualcosa mi dice che non stai prendendo in seria considerazione la mia proposta, sento il peso delle giornate che passano, non abbiamo tempo per costruirci delle sicurezze".
Emeroth non vuole ammetterlo di fronte a Cumain, ma l'idea di risvegliare le forze primitive di Erin non lo aggrada affatto.
"Fidati di me Cumain, ti chiedo di aiutarmi in questa impresa" chiede infine il Re; da quando Cumain è stato rifiutato dalla Pietra dei Re egli ha accettato il suo nuovo ruolo, anche se freme dal desiderio di poter portare agire liberamente come aveva pianificato.
"Va bene! Se è così che hai deciso, così faremo e quel che avverrà, avverrà sotto il tuo nome!".

Lo sfilare dei guerrieri che esce dall'Emain è impressionante, come impressionante è stato l'andirivieni dei giorni scorsi. Molto impressionante anche per la giovane Maleya che si aspettava quasi di poter entrare di nascosto nell'Emain per parlare con Emeroth, ma la faccenda si è fatta decisamente più complicata del previsto. Emeroth le sfila poco lontano, facilmente distinguibile a causa del suo mantello bianco; la ragazza nota che lì vicino c'è anche il giovane Mochta. Il gruppo si sta dirigendo verso sud, così Maleya pensa velocemente a dove potrà sostare un esercito tanto grande e decide di precederlo in quel luogo: una valle protetta dal vento da un gruppo di colline dove nelle vicinanze nasce una sorgente. Nap, il leprotto, sta molto male e sempre più spesso perde i sensi; quando li riacquista chiede insistentemente di Emeroth e Maleya capisce che deve fare in fretta.
"Stai tranquillo!" le dice Maleya mentre lo stomaco le si attorciglia "sto per portartelo".
Non c'è tempo per attendere la notte e d'altro canto non è semplice avvicinarsi inosservati ad Emeroth, specie di giorno. La ragazza nota poi un bagliore poco distante da lei, sul sentiero dove l'esercito è passato qualche minuto, è un monile che i celti usano per agghindarsi la barba. Un'idea si fa quindi strada nella mente della giovane. Maleya raccoglie il pendaglio e poi si dirige più in fretta che può nel bosco dove l'esercito arriverà solo qualche ora più tardi. Nel bosco la ragazza si mette a cercare qualcosa che faccia al caso suo: il resto di qualche animale notturno e trova infine l'aculeo di un riccio.
Maleya prende un profondo respiro e poi mormora alcune parole di potere che ha imparato da suo padre, infine lancia l'aculeo di fronte a sé ed osserva la direzione indicata da esso. "Portami da loro" ordina infine stringendo il gioiello celta in una mano e facendo un balzo là dove gli è stato indicato. La ragazza si tuffa attraverso le folte fronde di un cespuglio e quando riemerge, con in braccio Nap, si trova nel bel mezzo della notte, illuminata dalla falce di una luna che ha iniziato il suo percorso verso il tramonto. Maleya è riuscita ad avvicinarsi alla notte che la attendeva, recuperando preziose ore di vita per il povero leprotto così lo nasconde in una tana nell'incavo di un albero e poi si dirige verso l'accampamento degli uomini, alla ricerca di Mochta. La ragazza trova il giovane dormiente, insieme al clan del suo signore, Olkan e lo scuote per risvegliarlo dal sonno.
"Dov'è Emeroth?" chiede Maleya senza tanti convenevoli. Un po' scombussolato Mochta cerca di capire se ciò che vede è verirà o sogno.
"Come hai fatto ad arrivare fin qui?" chiede stupito ma la ragazza non ha tempo per mettersi a discutere.
"Devi portarmelo! E' importante" lo sprona invece.
"Portarti Emeroth? Portarti il Re?" continua Mochta poco convinto.
Maleya viene così a sapere che il guerriero che aveva aiutato ormai un mese fa ora è Re.
"Sì, devi portarmi Emeroth. Vi aspetto alla radura qui vicino" e lascia Mochta nella speranza che il ragazzo faccia quanto gli è stato chiesto. Mochta è indeciso ma poi, facendo finta di recarsi ad orinare, si avvicina al fuoco di Emeroth finché una guardia non lo ferma per mandarlo via: Emeroth giace a terra, avvolto nel sonno e nel suo mantello. Mochta si allontana dal cerchio di luce e poi, senza rendersi conto del pericolo che sta correndo, prende un sasso in pugno nel tentativo di svegliare Emeroth. Una guardia potrebbe sentirlo e, senza vedere bene nell'oscurità, potrebbe decidere di scagliare la sua lancia prima di tanti proclami. Fortunatamente il secondo sasso colpisce Emeroth quanto basta da svegliarlo...

Un'altra comitiva esce dall'Emain del Re. Tanai sta portanto il Calderone nella collina dove Cathbad era solito leggere i presagi. Una volta giunti nei pressi della collina il Calderone comincia a farsi pesante ed è difficile da spostare, come se si fosse riempito del potere del luogo. Un servitore si accosta a Tanai: il bardo, qualche giorno prima, lo aveva mandato sulla spiaggia che separa Erin dall'Isola di Sky, dove il druido è scomparso.
Diversi otri di acqua raccolta su quella spiaggia vengono riversarti dentro il Calderono: l'acqqua si fa cupa e continua a muoversi in piccole onde, come fa il mare, senza pace. Tanai estrae quindi il proprio coltello e taglia un ramoscello dell'olmo che sovrasta la collina.
"Tienilo con cura" dice poi a Cumain "perché sarà la nostra guida nel viaggio di ritorno".
Tanai prende il suo bastone del cammino e lo immerge nel calderone, rimestando l'acqua. Il vortice al suo interno si fa ancora più scuro e veloce. Cumain, ad un cenno di assenso di Tanai, si tuffa nel Calderone e vi si immerge come se non avesse fondo. Subito dopo Tanai lo segue tra il timore e il rispetto dei presenti. Un altro guerriero, il primo del gruppo che avrebbe dovuto seguirli, deve fermarsi di fronte al vortice che si alza in uno sbuffo. Quando l'acqua torna al suo posto è innaturalmente ferma e piatta.
Tanai e Cumain annegano nel vortice, la sensazione è davvero sgradevole e termina solo quando i due si trovano sulla riva di un lago sotterraneo. Delle lucciole svolazzano illuminando fiocamente l'oscurità dell'ambiente. Alcune falene si avvicinano ai due visitatori e solo un'occhio attento si accorgerebbe che i disegni presenti sulle loro ali compongono la forma di un teschio. Tanai e Cumain si avviano orientandosi nella caverna e dopo poco ne trovano l'uscita: l'esterno è buio, ma non il buio della notte quanto piuttosto il buio della tempesta, il buio che viene prodotto da spesse nuvole nere cariche di pioggia e fulmini che si abbattono in lontananza; un vento si alza forte a scuotere i loro vestiti e l'aria si fa carica di attese. Un tuono più vicino degli altri costringe i due a coprirsi il volto. La luce però rischiara la schiena di un uomo poco lontano, chino sul terreno, nei pressi di un nocciolo denudato delle sue foglie e dei suoi frutti. L'uomo appare intendo a studiare qualcosa.
"Sarà lui il druido?" chiede Cumain stringendo sempre saldamente il ramoscello d'olmo.
"C'è un solo modo per saperlo" e Tanai si incammina verso la figura; il bardo trova l'uomo vagamente di spalle, sembra proprio Cathbad e sta armeggiando con ossicina e bacche, totalmente assorto nei suoi pensieri. Tanai guarda incusiosito a terra e capisce che indicano un qualche pericolo ma non sa capire meglio di cosa si tratti. La figura china si riscuote, attraversata da un brivodo, afferra la sua ciotola piena d'acqua e ne versa a terra il contenuto: l'acqua viene assorbita istantanemanete, in modo innaturale, poi l'uomo si volta a destra e manca, ignorando totalmente con lo sguardo la presenza di Cathbad e Tanai.
"Spiriti, so che ci siete!" esordisce Cathbad.
Cumain è confuso e guarda Tanai con fare interrogativo ma il bardo ha un'espressione assorta sul volto.
"E' vero..." risponde Tanai al druido e Cathbad si volta nella direzione dei due vivi ma li supera con lo sguardo.
"Non so se sono stato io a convocarvi o se questo è un semplice incontro voluto dal caso, voi cosa avete da dirmi spiriti dei morti?".
Un'espressione interrogativa passa sul volto di Cumain mentre Tanai, seppure confuso, continua a parlare con il druido.
"Un mistero oscura le terre di Erin ed una delle chiavi si trova sull'Isola di Sky Cathbad"
"Allora è vero!" esulta Cathbad "Tu mi dai conferma di ciò che già sapevo perché è là che sto andando: vedete quella barca laggiù? Tra poco partirò con quella alla volta dell'Isola di Sky".
"Non sappiamo se troverai soluzione alle tue domande druido, ma sappiamo che un pericolo grava su di te ed arriverà prima che tu giunga sull'Isola" lo avverte Tanai. Il druido rimane in silenzio per qualche istante cercando una risposta.
"Mi avvertite di un pericolo che incombe su di me" scandisce infine Cathbad lentamente "ma io ho visto un pericolo che minaccia tutto il popolo di Erin: ho visto il ritorno del popolo dei Vermi ed anche la pietra che servirà al loro ritorno: è stata trafugata. Io non so ancora vedere il sentiero che porterà a questi eventi ma mi è chiaro che sarà il popolo celta a scegliere il proprio futuro".
"Cosa puoi dirmi della forza che sovrasta il popolo dei Pitti? è dunque ignota anche a te?"
"La mano dei Pitti è guidata da una forza salda e sicura che vuole trovare riscatto alla potenza che gli uomini le hanno sottratto. Andrò sull'Isola di Sky e cercherò conferma che il popolo di Danann guida i Pitti. Le streghe potranno darmi risposta che cerco perché d'altronde non oso rivolgermi alle Ninfe del lago".
Il vento della tempesta si fa più forte e Cathbad si volta in direzione della sua barca: un uomo lo attende.
"Sihollan mi attende spiriti, che possiate tornare nel mondo che vi appartiene senza cadere tra le spire del verme che tutto avvolge".
Sihollan era il figlio di un barcaiolo cieco. Tanai è confuso: non sapeva fosse morto, ma la polvere si alza con il vento e si è fatto tempo di ritornare. Tanai stacca una foglia dal ramo d'olmo di Cumain e questa viene trascinata dal vento.
"Non perdere di vista quella foglia: ci riporterà a casa!" ordina il bardo.

Alla radura Emeroth e Mochta incontrano la giovane Maleya. Emeroth è stupito e dispiaciuto nel vedere il leprotto ferito e morente. Man mano che la morte si avvicina l'animale perde sempre di più le sue fattezze antropomorfe e ritorna ad essere un semplice leprotto. L'animale parla a fatica.
"Tu mi hai salvato una volta la vita, quando il Cacciatore voleva trarti in inganno. Io non dimentico il favore che mi hai fatto risparmiandomi e prima che la vita mi abbandoni devo ricambiare al tuo dono". Il leprotto tossisce sangue e poi rigetta una piccola perla, lavorata come fosse un ornamento.
"Questa me l'ha data il Cacciatore e apparteneva a Lugh. E' la cosa più preziosa che possiedo ed è il dono più grande che posso farti. Con questo potrai fare una richiesta a Lugh e lui non potrà rifiutartela". Maleya sente le gambe tremare mentre si rende conto di ciò che ha fatto. Una sottile lancia di luce invade la scena sulla morte del piccolo leprotto: è l'alba. La fata-leprotto ha perso del tutto le sue fattezze umane ed ora è tornata ad essere semplicemente un animale.

Friday, September 08, 2006

la pietra dei re

Fu un giorno freddo quello. C'era freddo fuori e dentro ciascuno dei presenti; non poteva essere diversamente il giorno del funerale di Re Connor McFinn. Connor era stato un buon re, molti di colori che l'avevano avversato in questi ultimi anni, ritenendolo troppo lasso nell'osteggiare i Pitti, non poterono fare a meno di abbassare il capo come tutti gli altri. Re Connor era caduto combattendo, come i grandi Re dei Celti. "E' caduto sapendo qual'era il suo destino" dicevano molti "ma non per questo si è tirato indietro". Re Connor era stato un grande Re ed ora poteva raggiungere i suoi avi sapendo di trovare un posto d'onore accanto a loro.
Cathbadh guidò il corteo funebre quel giorno, diretto verso la tomba che era stata preparata all'ultimo dei McFinn, deceduto senza lasciare eredi. La tomba era stata scavata nel fianco di una collina la cui cima era stata coperta da un'enorme monolite. In alto, sul monolite, era stata prodotta un'apertura che lasciava filtrare i raggi del sole all'interno della camera mortuaria.
Re Connor giaceva ricomposto dagli strazi della battaglia, con le sue armi in pugno, deposto sul proprio scudo e sostenuto dai guerrieri del Ramo Rosso. Accanto a lui avrebbe dovuto essere il suo Campione ma anche Fergus aveva lasciato la terra di Erin nella battaglia contro i Pitti. Emeroth, figlio adottivo del Re, giaceva stordito nel proprio letto, ancora una volta in bilico tra la vita e la morte dopo le gravi ferite riportate in battaglia. Fu dunque Cumain a scortare il Re. Cumain l'eroe. Cumain il salvatore. Colui che aveva ribaltato le sorti di una disfatta, trasformandola in una dignitosa resistenza e rintuzzando i pitti. Tutti e due i popoli: celta e pitta, avevano sostenuto gravi perdite ed ora, nella lunga pausa invernale, potevano leccare le profonde ferite. Tanai osservò la scena, apparentemente impassibile, ma con un gelo nel cuore nel constatare come non ci fosse limite al tradimento.
"Connor è giunto, avi del passato" declamò Cathbadh in tono solenne.
Le porte della tomba si aprirono per accogliere la salma del Re e se qualcuno notò che nessuno aveva spinto i battenti perché si aprissero allora non si stupì affatto o non lo diede a vedere. Cathbadh, Cumain e la scorta del Re entrarono nell'oscurità per accompagnare Connor in quell'ultima tappa del suo viaggio terreno. La Regina Ide, chiusa nel suo dolore, ma ancora bella e forte, attese fuori.
Dopo poco Cumain riemerse dall'oscurità, portando con sé la scorte reale. Solo Cathbadh rimase all'interno nella veglia funebre lunga tre giorni e tre notti. Il druido doveva presiedere l'ultimo consiglio al cospetto dello Spirito del Re.
Pian piano il corteo funebre si sciolse, accompagnato dai lamenti di dolore delle donne. Anche la Regina si ritrasse. Solo Lonan, il mastino del Re, ancora coperto dalle ferite della battaglia, rimase di fronte alla soglia. In battaglia il cane aveva difeso il corpo del suo padrone, perché nessun nemico potesse farne scempio o reclamarne la testa. Lonan rimase anche lui per tre giorni e tre notti in attesa. L'alba del quarto giorno Cathbadh uscì di nuovo nell'aria fredda dell'inverno imminente.
"Il tuo padrone è partito. Il tuo vincolo è sciolto" disse in tono neutro il druido.
Il cane lo guardò, con quello sguardo intelligente che aveva messo molti a disagio, poi si alzo sulle zampe in tutta la sua statura e si avviò lentamente verso i suoi boschi...

E' durante il giorno della Pietra che viene eletto il nuovo Re dei Celti. E' la Pietra stessa ad eleggere il Re ed oggi la pianura è gremita per assistere al rito che consegnerà loro il successore di Connor McFinn. Adesso che Cathbadh è scomparso è lui a presiedere la cerimonia anche se a stento ricorda il giorno in cui Re Connor si erse sulla pietra per essere acclamato dal popolo. Era un bimbo troppo piccolo per ricordare davvero quell'evento.
Molti dicono che sia il potere della pietra a parlare al futuro Re. Lo sa bene Cumain che in quel giorno sta per salire sulla pietra. L'uomo si avvicina baldanzoso alla pietra fredda pronto a saltarvi sopra con l'arroganza propria del suo carattere, ma quando sta per toccarla Cumain perde la propria baldanzosità. Cumain osserva i segni del potere incisi sulla pietra e sente su di sé la pressione di centinaia di occhi puntati su di lui. I suoi occhi di ghiaccio si fanno più opachi mentre tenta di deglutire e farsi avanti. Nessuno sa cosa gli stia passando per la testa in quel momento ed un silenzio innaturale si stende tutto intorno a lui. Alla fine Cumain si volta e a testa alta ma sconfitto si fa da parte, allontandosi sconfitto dall Pietra dei Re.

"Perché è stato mandato Cumain per primo?" chiede risentito Mochta "Non è giusto! Se non fosse stato per Emeroth non si sarebbe riusciti a recuperare la Pentola di Taran".
"Forse non sarà giusto, mio giovane amico" rispose sornione Tanai "ma sicuramente è stato più saggio. Era chiaro che Cumain stava uscendo sconfitto dall'ordalia e non nutrivo più dubbi che non sarebbe stato capace di arrampicarsi sulla Pietra dei Re. Se però non l'avessi fatto provare lui mi avrebbe sicuramente rinfacciato di avergli sottratto ciò che gli spettava. Così invece, ora, la sconfitta di Cumain è sotto gli occhi di tutti, compresi i suoi".

Emeroth respira profondamente mentre si costringe a ripensare agli eventi che l'hanno portato, oggi, di fronte alla Pietra dei Re. Non se lo sarebbe mai aspettato. Era stato allevato come un figlio da Connor, educato dal suo campione Fergus, lo avrebbe atteso un luminoso destino all'interno del Ramo Rosso; poi la Caccia al Cinghiale Bianco lo aveva portato lontano da Re Connor e da quel futuro che, forse, l'avrebbe visto come nuovo campione e successore di Fergus; aveva deciso di voltare le spalle a Connor e a diventare Emeroth il vaccaro tra il risentimento del padre e lo stupore della gente; solo ora, e quasi suo malgrado, si trova di fronte alla Pietra che gli svelerà il suo Destino.
Una sottile pioggia comincia a bagnare la superficie della Pietra dei Re. Emeroth posa dunque la mano destra sulla pietra ed una piccola scossa gli risale il braccio.
La tempesta infuria mentre Re Emeroth, più vecchio, il volto incorniciato da nuove rughe ed una barba più folta, urla selvaggiamente per incitare il suo popolo alla battaglia contro i suoi nemici: i pitti.
Emeroth ancora scosso afferra la Pietra dei Re con la mano sinistra.
La terra si apre sotto i suoi piedi ed un'ernorme verme esce dalle viscere della terra. La bestia si agita ed è veramente spaventosa perché la sua potenza distruttiva deve essere terribile.
Con un balzo Emeroth è accucciato con un piede sopra la Pietra.
Emeroth guarda il mondo da sotto la superficie dell'acqua. Una barca si agita sopra di lui mentre una pietra cubica viene lasciata cadere dall'imbarcazione. La pieta passa accanto ad emeroth mentre si immerge nelle profondità dell'acqua.
Emeroth è ora sulla Pietra dei Re, deve solo ergersi e reclamare il suo titolo.
Una casa va a fuoco mentre un bimbo, ricoperto di sangue, piange senza sosta. Il piccolo ha i capelli bianchi e la carnagione pallida; Emeroth non può non riconoscere le sue fattezze in quel volto.
"Emeroth Re!" acclama per primo Moctha con la sua giovane voce ed un boato si alza nella pianura mentre Emeroth si volta in tutte le direzioni, le braccia alzate e le mani aperte alla pioggia del cielo. L'uomo è incredulo e scosso ma capisce subito che ora è Re e che dovrà essere forte non solo per sé stesso, ma anche per il popolo che è chiamato a guidare.
Arriva subito l'araldo a porgergli la sua spada, quella che mastro Felab aveva forgiato per lui, e lo stendardo del clan. Emeroth li alza sopra la sua testa, in alto, mentre una sensazione di stordimento gli sale alla testa.

Maleya è in balia dell'ira di suo padre, Lehin il Cacciatore.
"Tu hai fatto cosa?" continua a ripetere il Tuatha anche se ha capito bene cosa abbia fatto la figlia, aiutando i due mortali a raggiungere l'antro dei Cupel. La ragazza cerca di difendersi come può ma in realtà le è chiaro che niente di quello che ha da dire potrà aiutarla in questo momento. Da una parte, con volto impassibile, Lavahi assiste alla scena. Maleya è sicura che sia stato il servitore ad aver dato qualche informazione di troppo a suo padre; la ragazza non avrebbe voluto rivelare molti particolari della sua recente assenza, consapevole di essersi coinvolta in un'impresa che non avrebbe ricevuto il plauso di suo padre, ma non può sottrarsi alle domande dirette del Cacciatore.
Il Cacciatore è allibito dall'entità del danno che è stato provocato ma al contempo continua a ripetere a Maleya che i Tuatha de Danann non devono mescolarsi agli Uomini; però nonostante le sue parole e le sue raccomandazioni Maleya non è mai riuscita ad erigere quella barriera che suo padre voleva mettere tra lei e gli uomini.
Quando Lehin è stanco della discussione permette infine a Maleya di congedarsi. La ragazza è stanca e affranta ma al contempo è arrabbiata. Lavahi la raggiunge dopo poco con il dichiarato intento di consolarla per le aspre parole del padre. Maleya però non ha intenzione di stare a sentire quel delatore nonostante ci sia qualcosa nel suo tono che lasci intendere che lui non voleva, lui non sapeva... Maleya si alza e si allontana dalla casa di Lehin mentre il servitore rimane attonito dietro di lei: le è chiaro che voleva essere costretto a parlare della faccenda, raccontandole come e perché era venuto a sapere della sua vicenda con gli uomini, ma la giovane non vuole dargli questa soddisfazione, non vuole cedere a quella piccola trappola.
"Me ne andrò a sbollire per qualche giorno" pensa Maleya imbracciando il suo arco e gettandosi di corsa nel bosco. Attorno a lei il bosco si fa indistinto nella sua corsa mentre la ragazza visita così i suoi luoghi preferiti. Ma poche ore dopo il silenzio della solitudine è interrotto dall'arrivo di una preda braccata e in fuga. E' il piccolo Nap, il servitore-lepre di Lehin che sta fuggendo dal pericolo. L'animale è ferito, è stato sicuramente colpito di striscio da una freccia e sanguina copiosamente. Lontano dalla sua preda sta arrivando il suo cacciatore. Maleya fa cenno all'animale di raggiungerla ma la piccola lepre, guardatala, rifiuta il suo aiuto e se ne scappa via in una direzione. La giovane non si perde d'animo e nel poco tempo che ha a disposizione copra le tracce dell'animale utilizzando una fronda e poi si lancia in un'altra direzione. Con suo sgomento Maleya capisce di avere il cacciatore ormai vicinissimo e si nasconde, immobilizzandosi per evitare che una freccia la raggiunga attraverso la vegetazione; l'uomo che emerge dal bosco è biondo, con i capelli lisci, il volto affilato e il naso ricurvo. Si tratta di Ronan, il Signore del Dun Felab. L'uomo è invecchiato ma mostra chiaramente i segni di una certa ricchezza passando vicino a Maleya ancora nascosta. Il cacciatore non rileva la presenza della ragazza e passa oltre; dopo poco il bosco è di nuovo tranquillo e Maleya può riprendere a respirare tranquillamente. Ma il leprotto si presenta di nuovo alla giovane: è stanco e indebolito dalla perdita di sangue.
"Mia Signora! Devi portarmi da lui" sussurra la bestiola "devi portarmi da Emeroth!".

Re Emeroth intanto ha indetto il suo primo Consiglio dei Padri. In segno di continuità con l'autorità di Re Connor, Emeroth organizza il Consiglio all'interno dell'Emayn di Connor. Molti intervengono e l'agitazione è tanta: ancora una volta sono i racconti delle razzie e scorribande di pitti a tenere banco. Emeroth ascolta tutte le lamentele e le richiesta, accettando la sua nuova responsabilità, ma con una parte del suo cervello è ancora incredulo all'idea che tutte quelle persone si aspettano da lui una soluzione ai loro problemi. Mentre le udienze si susseguono ed Emeroth rimane impassibile, valutando il da farsi, Cumain si fa sempre più insofferente: non tollera che i Pitti non siano ancora stati sconfitti e riacciati. A fine serata, quando ormai tutti hanno potuto esprimere le loro lamentele al Re, Emeroth rimane solo con Tanai e Cumain. Emeroth, sfinito ed ancora senza l'ausilio di un druido che sostituisca Cathbadh, vorrebbe almeno il conforto di sua moglie Alesaien e poter abbracciare suo figlio, ma la sua famiglia è tornata al Dun Felab, schivando così tutta quella folla che il Consiglio dei Padri impone.
"Ti devo parlare, solo" dice Cumain guardando Emeroth negli occhi. Emeroth vorrebbe rimandare ma sa di non potere rifiutare quel colloquio e d'altrocanto non vuole indispettire Cumain che, nonostante tutto, rimane una figura appoggiata e stimata da molti celti.
"Lasciaci soli Tanai" chiede infine Emeroth.
"Emeroth, i nostri destini sono ormai legati l'uno all'altro" esordisce Cumain.
"Sì, sappiamo entrambi che dobbiamo fermare i pitti" risponde arrivando al punto Emeroth.
"Non ce la faremo mai soli" riprende Cumain ed Emeroth rimane stupito nel sentire quella dichiarazione. Ma Cumain non ha intenzione di rivolgersi ai Tuatha come ha fatto Fergus. Con sguardo spiritato e voce rotta dall'emozione Cumain ammette di sapere che i Pitti avevano un'alletao non umano, ma non vuole approfondire la questione apertamente.
"Emeroth, non abbiamo scelta, dobbiamo risvegliare i Vermi della Terra. Li abbiamo soggiogati nei tempi che furono e loro ci odiano per questo, e ci temono. Possiamo richiamarli e costringerli a servirci".
"Di cosa parli?" chiede stupefatto Emeroth, con un'inquietudine che lo assale sempre più.
"Vieni con me, vieni a risvegliarli e comandali" propone Cumain con un mezzo sorriso sulla bocca, come se avesse trovato la soluzione a tutti i loro problemi e fosse ora fieramente in attesa che lo si segua riconoscenti.
"Ci sono altre priorità ora" prova ad eludere Emeroth "e poi tu li sapresti forse evocare?" chiede poi.
"...Sì... ma dobbiamo fare in fretta, ogni giorno che aspettiamo potrebbe essere troppo tardi. Fai in fretta Emeroth, io non potrò tenerlo nascosto a lungo".

Cumain lascia la sala del Re ed Emeroth ha bisogno di vederci chiaro e del conforto di un'amico. Raggiunge così Tanai e gli confida quanto Cumain gli ha chiesto con fare spiritato. "I Vermi ha detto?" dice Tanai "Sono le creature che dormono sotto la Porta dell'Abisso e sotto l'Isola di MacLeod. Sono il popolo dei Fir Bolg; coloro che abbiamo relegato sotto la terra, al pari dei loro fratelli Cupel, scacciandoli da Erin ere fa".

Friday, September 01, 2006

le frecce del cacciatore


Tutto il paese assistette alla partenza di Emeroth e di Cumain dall'Emayn McFinn. Cathbadh il druido presidiò la partenza insieme a Tanai: i due avevano scelto infine la prova per l'ordalia che avrebbe deciso il nuovo Re; si trattava di un viaggio attraverso il sentiero abbandonato che conduce alle sponde del lago dove, in tempi non troppo lontani, sorgeva l'Emayn dei McFinn prima che il lago stesso non si è prosciugato costringendo i celti a trovare un nuovo posto dove costruire le proprie case.
"Un uomo dalla pelle d'ombra vi condurrà verso il vostro obiettivo" li ammonì Cathbadh "dovrete recuperare quanto è stato sottratto al nostro popolo dai Tuatha: ciò che restituisce la vita ai morti, ciò che conduce al mondo delle tenebre, ciò che rievoca gli eroi del passato".
Mentre i due aspiranti condottieri lasciavano l'Emayn il piccolo Moctha si avvicinò ad Emeroth porgendogli in dono una picca lucertola scolpita nella quercia.
"Ti porterà fortuna nella tua ricerca" disse Moctha a colui che considerava uno zio.
Emeroth e Cumain si avviarono dunque sul vecchio sentiero e presto le ombre si allungarono costringedoli ormai, a tarda notte, a sostare per un breve riposo. I due parlarono poco ma entrambi pensarono ai tempi travagliati, raccontati dai vecchi, della migrazione del loro popolo a causa dell'infertilità della terra dovuta al prosciugarsi del lago.

Il villaggio rimase in attesa del ritorno del re; solo Moctha si agitava impaziente, come se dovessero tornare da un momento all'altro. Per placare la propria inquietudine il bimbò andò a far visita a sua zia Rhian. "Moctha sta crescendo" pensò Rhian vedendolo arrivare mentre allattava al seno suo figlio. La guaritrice aveva ancora negli occhi la fine della battaglia dove morì Connor: Moctha si aggirava per il campo di battaglia, con gli occhi sgranati, ma seguendo fedelmente il suo signore Olkan. L'uomo ricompose i corpi senza vita del fratello e del padre, sollevò la spada che era appartenuta al fratello maggiore e la porse a Moctha. "E' ora di fare di te un guerriero. Porta questa spada con onore".
Moctha chiese alla giovane madre se sapeva qualcosa di più riguardo alla prova che attendeva Emeroth ma Rhian non seppe rispondergli e non riuscì neppure a nascondere la sua preoccupazione: "Giorni fa ho parlato con Cathbadh ed il druido mi ha confidato di non avere scelto lui l'ordalia, ma poi non ha voluto spiegarsi meglio...".

Moctha, sempre agitato ed impaziente si mise a seguire i movimenti di Cathbadh. Il druido si diresse al di fuori dell'Emayn, verso un albero che pochi giorni prima era stato colpito da un fulmine. Il druido stava preparandosi a leggere qualche presagio, armeggiando con polveri, ciotole e piccoli animali morti. L'uomo pareva accigliato e poi, d'un tratto, persino sconvolto: qualcosa di quello che aveva visto l'aveva fatto trasalire: "No! Non posso aver sbagliato" disse infine a voce alta svuotando il contenuto della ciotola sull'erba fresca (che avvizzì immediatamente), poi voltandosi a grandi passi, senza recuperare il suo armamentario, si diresse di nuovo verso l'Emayn: era diretto alla dimora di Tanai per confidarsi con lui: "Sono in pericolo di vita!" disse senza troppi preamboli "Uno spirito malvaglio li sta seguendo".

Brulla, spaventosa, inquietante e sterile, la grande conca che fu un tempo un lago si aprì di fronte ad Emeroth. Non c'erano animali, solo un vento freddo ed insistente. Il popolo celta aveva però costruito la sua casa in quel luogo e la sua impronta era ancora percepibile. Il vento si smorzò quel tanto che bastava da far iniziare una fredda, noiosa, pioggiarella.
"Fermiamoci là" propose Cumain.
Poco distante, Maleya notò stupefatta la presenza dei due uomini: "Non vengono mai qui!" pensò, notanto che i due sono a piedi. La bimba vedeva di buon occhio la presenza di intrusi in questo territorio che appartenva ormai al popolo Sidhe e si mise alla ricerca di serpenti da scatenare contro i viandanti, per indurli ad andarsene. Maleya estrasse il suo piffero ammaliatore...
Uno strano sibilo si alzò tra il fischio del vento intorno ad Emeroth e Cumain.
"Questo posto non è sicuro" avvertì Emeroth.
"Serpi!" rispose scocciato Cumain e con un colpo della sua spada ammonì una bestia a girare al largo.
"Andiamocene da qua" conclusero entrambi.
"Ha funzionato!" sorrise Maleya compiaciuta, poi decise di seguirli per vedere che avevano intenzione di fare.

Moctha corse a perdifiato. Correva per andare ad avvertire Emeroth (ed anche Cumain, in un angolo della sua mente) del pericolo imminente. Era entrato nella dimora di Tanai incurante di tutto, giusto in tempo per farsi affidare da Cathbadh il compito di cercare i due ed avvisarli. "Tieni questi" disse il druido porgendogli dei monili che si era tolto di dosso "Non so se basteranno a proteggerli, ma tu portali". La via fu dura e difficile ma Moctha non si perse d'animo, arrivando così al lago prosciugato in meno di quanto non avevano fatto i due guerriri di cui, però, non vi era traccia.

"Chi va là?" chiese Cumain "Ho visto qualcosa nella nebbia" avvisò quindi Emeroth, ma la nebbia era davvero fitta. I due estrassero le loro spade continuando a guardasi attorno frastornati. Il suono di una campanella arrivò quindi ai loro orecchi, trasportato dal vento. Cumain era molto teso. Un ruomore di sciabordio si aggiunse ai campanelli: i due, persi nella nebbia, dovevano essere scegli fino alla costa.
"Ci manda Cathbadh il druido" disse Emeroth "Chi sei tu?"
"Cathbadh? Bene, allora voi siete coloro che devo portare verso il vostro Destino" disse una voce cavernosa. Un uomo alto e dalla pelle scura, ammantato in vesti nere come la notte, arrivò presso di loro a bordo di una piccola imbarcazione munita di campanelli.
"Andiamo" disse Emeroth rivolto a Cumain, ma c'era una traccia di dubbio nella sua voce mentre il suo compagno afferra la barca per salirvi per primo.

Moctha vide infine i due guerrirei: sull'orlo di un precipizio, di fronte al lago prosciugato. Forse disorientato dalla nebbia Cumain fa un passo nel vuoto.
"Emeroth: no!" urlò a squarciagola Moctha. Emeroth percepì vagamente la voce nell'aria, quel tanto che bastava da intuire il pericolo imminente: appena in tempo però da afferrare Cumain salvandolo da morte certa.

Maleya intanto osservò gli uomini da lontano; temeva quello che stava per accadee: riconobbe lo spirito sopraggiunto dalle nebbie, lo spirito che stava ammaliando gli uomini: zio Lugh aveva parlato a quello spirito proprio il giorno prima e lei aveva sbirciato timorosa quell'incontro. Maleya temeva lo zio e i suoi complicati piani, ma quei due le fecero pena: raccolse così un sasso e lo lanciò nella direzione dello spirito. Il sasso attraversò il corpo etereo dello spirito ma fu sufficiente a distrarlo quello che bastava per interrompere la sua malia. Moctha intanto arrivò in soccorso di Emeroth e i due risollevarono Cumain dal precipizio, ancora sconvolto per l'accaduto.
"Cathbadh ci sta mandando a morire!" disse in preda all'ira Cumain, ma quando Moctha spiegò loro l'accaduto il guerriero non si fece troppo scrupoli ad accettare i talismani del druido.
"Toniamo indietro: il vecchio non sa più leggere nei presagi!" disse Cumain ancora sudato.
"Lasciamo passare la notte, decideremo domattina" disse più saggiamente Emeroth cercando un posto dove ripararsi dal tempaccio.

Maleya continuò ad osservare gli uomini dormire: adesso si era aggiunto anche quel cucciolo che, tutto sommato, l'attirava e le ispirava simpatia. Quando infine fu il turno di Moctha a montare la guardia la bimba decise di uscire allo scoperto.
"Ciao!" esordì semplicemente facendo sussultare Moctha. Il ragazzo la guardò incuriosito e per niente spaventato. I due guerrieri intanto continuarono a dormire nonostante i loro affinati sensi.
"Io mi chiamo Maleya e tu?"
"Moctha e sono un guerriero celta" rispose con orgoglio il bimbo.
"Lo vedo... ma cosa ci fate qui?" si informò Maleya interessata più alla visita degli uomini piuttosto che al loro rango.
"Il nostro druido ci ha mandato a cercare una cosa che appartiene al nostro popolo".
"E che vi ha detto per l'esattezza?"
"Di seguire l'uomo dalla pelle d'ombra, ma si è rivelato uno spirito malvagio" rispose preoccupato Moctha.
"Forse non si riferiva allo spirito ma a quelle" disse Malya indicando delle iscrizioni rupestri.
Si trattava di antiche pitture disegnate sulle pareti della caverna: erano le storie del Cacciatore, dipinte di nero. Il Cacciatore brandiva un arco e, con le sue frecce, indicava l'interno della caverna.
"Questo sentiero però è altrettanto pericoloso" avverte Maleya "passa attraverso il paese dei Cupel: esseri di pietra molto pericolosi".

Al mattino Cumain si svegliò per ultimo trovando Emeroth a discutere con la curiosa ragazza. Emeroth era già stato messo al corrente delle iscrizioni rupestri che indicavano il sentiero verso la loro meta. Cumain però era poco propenso a proseguire, nonostante le rassicuranti luci del mattino. Di fronte però alla baldanza di Moctha e la curiosità di Maleya non potè tirarsi indietro: che razza di figura avrebbe fatto a ritirarsi di fronte ad una ragazzetta? Cumain provò ad interrogarla per capire chi fosse e da dove venisse ma la giovane non si lasciò intimidire, ma si propose anzi come guida. Sospettoso e controvoglia Cumain non poté che accettare.

Alcune frecce dipinte nella roccia indicarono il percoso al piccolo gruppetto. Il cammino però si fece presto buio e difficile, spingendosi nelle profondità della terra. I quattro arrivarono infine presso un grande tunnel ch si gettava nell'oscurità più profonda; alcuni scalini segnavano la straa ma erano evidentemente a misura di gigante e non di uomo; le frecce, però, indicavano chiaramente quella direzione.
"Queste rocce sono state scavate dalle poderose mani dei giganti di pietra" li avvertì Maleya "parlate piano ora".
"Feilhelm mi ha parlato dei Cupel, ma non erano amici degli uomini: divorano gli esseri viventi per puro divertimento" ribatté Moctha "loro ci odiano: non ci stai portando da loro, vero?"
"Io vi porto solo dove ci indica il Cacciatore. Ora fate piano!"
Ma Emeroth mise un piede in fallo nell'oscurità e cadde lungo disteso. A stento trattenne un urlo: si era ritrovato faccia a faccia con i resti di uno scheletro. E' quel che restava di un guerriero celta: pochi abiti, un elmo e lo scudo spaccati, una pelliccia. Nessun segno particolare indicava il clan di appartenenza. Una borsa e una spada pendevano dal fianco.
Ripreso il controllo Emeroth propose di dare degna sepoltura allo sventurato tumulandolo.
La salma venne così ricomposta ed Emeroth si accorse che la borsa era estremamente pesante per le sue dimensioni. Maleya diede di soppiatto un'occhiata e notò che conteneva un grosso oggetto voluminoso, avvolto in un panno. Maleya e Mocta si scostarono dal cadavere per svolgere il panno: sembrava una pietra squdrata, nera, lucida, più o meno cubica e ornata da fregi che esprimono riti perduti, fregi chiaramente non celtici, operati da mani goffe. Intervenne però Cumain che richiuse la borsa e la tolse dalle mani dei ragazzi. Secondo Maleya quello potrebbe essere l'artefatto che i celti stanno cercando ma Mochta appariva poco convinto. Emeroth, terminato il tumulo, spese qualche parola per accomiatarsi dallo spirito del defunto prima di lasciarlo alla sua pace.

Il tunnel continuò e solo dopo un tempo indefinibile tutti avvertirono chiaramente il rumore di uno sgocciolio sotteranneo. Il gruppo era giunto ad una grande cavera che si apriva su un lago sotterraneo. La sensazione di essere osservati assalì Maleya che teme che, al di fuori del cono di luce delle loro torce, vi fossero creature nemiche; tutto il luogo aveva un aspetto decisamente sinistro.

"Guardate là!" fece Cumain indicanddo una roccia poco distante. Il cacciatore nero dipinto sulla roccia raccoglieva le proprie frecce.
"Siamo arrivati!" disse Maleya ed Emeroth si avvicinò all'immagine per osservarla meglio ma subito si udirono i rumori di vari ciottoli che rotolavono tutti intorno.
"Cathbadh è un vecchio pazzo!" esplose Cumain "dove ci ha mandato? Cosa vuole da noi?"
"Vuole un Re, Cumain" rispose sprezzante Emeroth.
"No! Vuole per sé il comando e ci ha mandato qui a morire" rispose Cumain.
Emeroth alzò la voce per regarguire Cumain per le sue parole irriverenti, incurante delle ombre che si addensavano intorno a loro. Quando Emeroth si zittì gli echi innaturali della sua voce riempirono l'aria.
"Continuiamo l'esplorazione" comandò infine Emeroth. Il centro della caverna si fece sempre più profondo mentre intorno si odevano bisbiglii rochi che sembravano chiamarsi e rispondersi.
"Sbrighiamoci: sento i loro occhi su di me!" disse Cumain poco prima che Maleya cacciasse un piccolo urlo: la ragazza era caduta, storcendosi malamente una caviglia.
"La pietra! Si è mossa" disse allarmata la ragazza mentre Moctha si dirigeva in suo aiuto con una delle fonti di luce.
"Noi continuiamo!" ordinò fermo Emeroth a Cumain. Emeorth aveva notato un baluginio al centro della caverna, al di là della piccola spiaggia che segnava l'inizio di un lago sotterraneo. I due guerrieri procedettero così verso il centro del basso lago, procedendo, per quanto possibile su una lingua di terra che fungeva da banchina naturale. Una roccia cadde dal soffitto, poco lontano dai due guerrieri. Arrivati al termine della banchina Emeroth vide di nuovo lo scintillio: una specie di arco di metallo a pelo d'acqua aveva risposto alla luce della loro torcia.

Procedendo da una roccia all'altra, Cumain ed Emeroth si avvicinarono sempre più allo strano oggetto abbandonato sotto l'acqua. Emeroth capì quindi che l'arco di metallo che mandava il bagliore è ciò che stanno cercando: è la bocca della magica pentola della mitologia celtica. Il cibo cucinato nella magica pentola non finisce mai ma non solo: i morti che vi vengono immersi ritrovano una nuova vita. Emeroth e Cumain si gettarono nell'acqua densa e vischiosa, ma non più alta del loro inguine. I due correvano verso la pentola e giunti provarino a sollevarla ma la pentola era pesantissima.
Un rumore provenì dalle loro spalle.
"Stanno arrivando, senti il loro rumore nell'acqua?" avvertì Cumain.
Emeroth e Cumain con uno sforzo sovrumano riuscirono infine a smuovore la pentola, svuotandola della nera acqua del lago: un uomo solo non sarebbe mai riuscito nell'impresa. Ma prima che i due possano esultare una gigantesca mano sbucò dall'acqua nel tentativo di riafferrare il paiolo che brilla, come nuovo, alla luce della torcia di Emeroth. La mano non riuscì ad afferrare la pentola solo di un soffio.
"Tira!" disse Cumain "Corriamo" e i due fuggirono verso la riva ma presto sono costretti a fermarsi: un'ombra li stava sovrastando. Una pietra cadde dall'alto, schivata a fatica dai guerrieri. Cumain sfoderò la propria spada e tentò di infliggere un colpo all'avversario con il solo risultato del sordo rumore vibrante del metallo sulla roccia. Cumain ritrasse il braccio intorpidito dal dolore, poi, occhieggiando verso Emeroth i due riuscirono ad aggirare la lenta figura prima che questa potesse scagliarsi di nuovo contro di loro.

Intanto Mochta aveva ricondotto Maleya presso il nero cacciatore, ma odendo i rumori di battaglia si sentiva in dovere di andare a soccorrere anche Emeroth. Cumain ed Emeroth però riuscirono a farsi strada verso terra, schivando fortunosamente altre pietre che sempre più frequentemente continuavano a cadere sempre più vicino a loro. Il lago quasi sembrò ribollire. A terra però fu quasi peggio: il rotolare delle pietre era spaventoso. Poco prima di mettere il piede sulla terraferma Cumain fu raggiunto alla spalla da una pietra. Il guerriero cadde in acqua ma Emeroth, lasciando il paiolo a riva, si voltò per andare a recuperare il compagno prima che questo morisse affogato. L'acqua si sollevo di fronte a lui: la gigantesca figura di pietra stava per colpirli con i suoi pugni chiusi. Emeroth riuscì però a scansare anche questo colpo trascinado con sé il semiincoscente Cumain: l'onda d'urto li spostò però di due metri, sbattendoli contro la riva. Cumain riprese i sensi e senza fiatare si rimise in piedi, afferrando la pentola e continuando la sua corsa verso la luce di Maleya. A dar loro manforte arrivò anche Moctha, per aiutarli a spingere il pesante paolo. Il frastuono si fece terribile: i cupel erano adirati per quella intrusione e lanciavano pietre contro i fuggitivi. Maleya capì che i cupel si stavano facendo troppo vicini così, facendosi coraggio, lanciò la propria torcia nella loro direzione. La luce stordì effettivamente le creature ma la visione fu davvero terrificante.

Il gruppo riuscì però a scappare via dalla caverna. Emeroth e Cumain procedevano spediti, ma Maleya, con la storta al piede procedeva a rilento. Cumain spazientito tornò sui suoi passi e scossa la ragazza per la spalla le urlò contro di portarli subito fuori da quel luogo. La ragazza lo guardò stordita e indicandogli le frecce dipinte sul muro gli mostrò il cammino da seguire. I quattro proseguirono ancora nella loro fuga ma infine riuscirono ad intravedere la luce del giorno: la dove i cupel non potevano più raggiungerli.
"L'abbiamo ritrovata!" disse infine Cumain con una strana voce "ma a che prezzo? Il risveglio del popolo di pietra?"