Thursday, March 08, 2007

il destino di art dasu

Olcan aiuta Maleya ad avanzare nella neve, il ricordo del luogo fatato di Kier quasi svanito nella furia del vento. Arrivano in vista della Pietra dei Re.
Anche Tanai è da quelle parti, per quelle strane coincidenze che succedono negli eventi importanti, seguito da tutta la gente del Dun: «Ci riposeremo qui, sotto la protezione della Pietra»
Quando i due gruppi si incontrano c’è un po’ di sgomento, soprattutto perché oltre a quella coincidenza se ne aggiunge un’altra: c’è anche un uomo che si erge in piedi proprio sulla Pietra.
«Quella pelliccia di lupo la conosco» sussurra Maleya riconoscendo la pelle fatata che prestò ad Emeroth, anche se l’uomo che l’indossa è profondamente diverso dall’Emeroth che si ricordava: più deciso, più imperioso, la quintessenza del Destino del Re. La notizia dilaga in un baleno «Il Re! Il Re è tornato!» e tutto la gente del Dun viene percorsa da grida di felicità e speranza.

Anche la moglie di Emeroth gli si avvicina, e per la prima volta da molti e molti anni sembra presente e viva… parla persino, lei che non aveva più pronunciato parola dall’attacco dei Pitti al suo Dun: «Emeroth! Sei tornato! Sei tornato da me!». E ad Emeroth viene da pensare in cuor suo che lei stia parlando di un’assenza ben più lunga di quest’ultimo mese in cui era alla ricerca del fratello.
«Padre! Padre!» anche il figlio del Re gli corre incontro a braccia aperte.

Le discussioni si protraggono a lungo, ciascuno ha molto da raccontare agli altri. Quando Emeroth finisce la sua parte di racconto Tanai sembra pensieroso:
«Avete mai sentito parlare di Art Dasu? Era un Re del clan McNessa – e quando tutti scuotono la testa il bardo continua – Sapete di sicuro che tra McNessa e McFinn non è mai scorso buon sangue, ma Art Dasu è rimasto nelle leggende: era destinato ad affrontare tre prove, proprio come te Emeroth, ad affrontare le Pianure della Follia, le Montagne e le profondità del Lago Senza Fondo. Ma poi non partì, perché ebbe rivelato un altro destino. Però di cosa si trattasse non lo confidò a nessuno, lo tenne segreto fino alla tomba e nulla se ne sa»
Intanto che il Clan si prepara per la notte, all’ombra della Pietra, i più influenti discutono su cosa sia più urgente fare a questo punto. Maleya si infila nella riunione decisa a parlare con Emeroth di persona: «Re degli Uomini, io non ho più una casa, né un posto dove migrare come state facendo voi. Ti chiedo ospitalità»
«Mai sia rifiutata ospitalità a chi la cerca – risponde Emeroth, che non ha mai perso di vista né la ragazza né soprattutto la pelliccia di cinghiale bianco che ella indossa – Che tu possa trovare presso di noi il rifugio che cerchi, ora e anche per sempre, se è questo che desideri. Però non posso fare a meno di notare che tu indossi qualcosa che mi appartiene»
Maleya sobbalza a tanta schiettezza, anche perché pure il Re indossa qualcosa che appartiene a lei, ma è lì per chiedere ospitalità, e agli ospiti si offrono regali, non affronti: «Dici il vero, Re Emeroth, e mi fa piacere poterti offrire qualcosa di paragonabile a ciò che mi hai appena concesso», così la pelle del Cinghiale Bianco torna al suo legittimo proprietario.
La ragazza lancia un’occhiata volutamente lunga alle pelle di lupo, ma il Re non fa commenti: in effetti ormai se la sente vicino, come parte di sé e se ne separerebbe malvolentieri.

Alla fine tutte le decisioni vengono prese: saranno dapprima inviati dei messi con il compito di radunare tutti, ma proprio tutti, i Celti alla Pietra dei Re. Quando questi saranno giunti si trasferiranno a Tara, un luogo da tempo disabitato ma ancora molto potente. Fu lì che il Primo Re di tutti i Celti si stabilì dopo aver portato il suo popolo nell’Eire. All’interno di quelle rovine l’influenza degli Uomini è forte, e forse i Fir Bolg non oseranno attaccare.
Nel frattempo, intanto che i messi adempiono al loro compito, un gruppetto di poche persone si recherà a chiedere consiglio sulla tomba di Art Dasu.

Re Emeroth, il suo bardo Tanai e quell’impertinente di Maleya si avviano così verso la tomba di Art Dasu, mentre Olcan rimane alla Pietra come riferimento per la gente del Dun. Già i pressi della tomba, un ampio cimitero, sono inquietanti, spettrali, tutti si sentono addosso gli sguardi dei morti che abitano qui.

Scende la notte. Durante il suo turno di guardia Tanai vede una figura zoppicante avvicinarsi. E’ uno spettro? Rabbrividendo il bardo alza un tizzone per diffondere un po’ di luce: è una donna, vecchia, emaciata, bianca e cieca ad un occhio. ‘‘O forse è lo spettro di una donna’’ non può fare a meno di pensare Tanai. Di sicuro lei lo ha riconosciuto:
«Tanai O’ Shea» sentenzia la vecchia con voce gracchiante.
«Sono io, signora. Ma non so a chi devo rispondere» dice il bardo facendosi coraggio nonostante l’oscurità.
«Sono la tua guida. Seguimi, ti porterò alla tomba di Art Dasu»
«Grazie signora, ma non sono il solo a cercarlo – risponde guardando i compagni ancora addormentati – in effetti siamo in tre».
La vecchia si ferma, ma quando parla sembra decisa:
«Uno solo può seguirmi, altrimenti il gigante di pietra se ne accorgerà. Il giovane Re ha già altre prove da affrontare, e non sarebbe saggio scegliere la donna che vi segue, ancora così intessuta di incantesimi di fate»
«Allora a quanto pare non rimango che io; loro hanno già affrontato i loro difficili viaggi, mi farò carico da solo di questo»
Camminando la vecchia si appoggia a Tanai: ha dita lunghe e appuntite, che si piantano scomodamente sulla spalla del bardo.
«Non mi avete ancora detto chi siete» e così dicendo Tanai la guarda negli occhi, allontanando l’oscurità alla luce della fiaccola: non è una persona viva, ora ne è sicuro. E in effetti lei risponde
«Non puoi conoscermi, non eri ancora nato. Ma sono l’unica che può portarti sulla tomba di mio marito»

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