la pietra dei re

Cathbadh guidò il corteo funebre quel giorno, diretto verso la tomba che era stata preparata all'ultimo dei McFinn, deceduto senza lasciare eredi. La tomba era stata scavata nel fianco di una collina la cui cima era stata coperta da un'enorme monolite. In alto, sul monolite, era stata prodotta un'apertura che lasciava filtrare i raggi del sole all'interno della camera mortuaria.
Re Connor giaceva ricomposto dagli strazi della battaglia, con le sue armi in pugno, deposto sul proprio scudo e sostenuto dai guerrieri del Ramo Rosso. Accanto a lui avrebbe dovuto essere il suo Campione ma anche Fergus aveva lasciato la terra di Erin nella battaglia contro i Pitti. Emeroth, figlio adottivo del Re, giaceva stordito nel proprio letto, ancora una volta in bilico tra la vita e la morte dopo le gravi ferite riportate in battaglia. Fu dunque Cumain a scortare il Re. Cumain l'eroe. Cumain il salvatore. Colui che aveva ribaltato le sorti di una disfatta, trasformandola in una dignitosa resistenza e rintuzzando i pitti. Tutti e due i popoli: celta e pitta, avevano sostenuto gravi perdite ed ora, nella lunga pausa invernale, potevano leccare le profonde ferite. Tanai osservò la scena, apparentemente impassibile, ma con un gelo nel cuore nel constatare come non ci fosse limite al tradimento.
"Connor è giunto, avi del passato" declamò Cathbadh in tono solenne.
Le porte della tomba si aprirono per accogliere la salma del Re e se qualcuno notò che nessuno aveva spinto i battenti perché si aprissero allora non si stupì affatto o non lo diede a vedere. Cathbadh, Cumain e la scorta del Re entrarono nell'oscurità per accompagnare Connor in quell'ultima tappa del suo viaggio terreno. La Regina Ide, chiusa nel suo dolore, ma ancora bella e forte, attese fuori.
Dopo poco Cumain riemerse dall'oscurità, portando con sé la scorte reale. Solo Cathbadh rimase all'interno nella veglia funebre lunga tre giorni e tre notti. Il druido doveva presiedere l'ultimo consiglio al cospetto dello Spirito del Re.
Pian piano il corteo funebre si sciolse, accompagnato dai lamenti di dolore delle donne. Anche la Regina si ritrasse. Solo Lonan, il mastino del Re, ancora coperto dalle ferite della battaglia, rimase di fronte alla soglia. In battaglia il cane aveva difeso il corpo del suo padrone, perché nessun nemico potesse farne scempio o reclamarne la testa. Lonan rimase anche lui per tre giorni e tre notti in attesa. L'alba del quarto giorno Cathbadh uscì di nuovo nell'aria fredda dell'inverno imminente.
"Il tuo padrone è partito. Il tuo vincolo è sciolto" disse in tono neutro il druido.
Il cane lo guardò, con quello sguardo intelligente che aveva messo molti a disagio, poi si alzo sulle zampe in tutta la sua statura e si avviò lentamente verso i suoi boschi...

Molti dicono che sia il potere della pietra a parlare al futuro Re. Lo sa bene Cumain che in quel giorno sta per salire sulla pietra. L'uomo si avvicina baldanzoso alla pietra fredda pronto a saltarvi sopra con l'arroganza propria del suo carattere, ma quando sta per toccarla Cumain perde la propria baldanzosità. Cumain osserva i segni del potere incisi sulla pietra e sente su di sé la pressione di centinaia di occhi puntati su di lui. I suoi occhi di ghiaccio si fanno più opachi mentre tenta di deglutire e farsi avanti. Nessuno sa cosa gli stia passando per la testa in quel momento ed un silenzio innaturale si stende tutto intorno a lui. Alla fine Cumain si volta e a testa alta ma sconfitto si fa da parte, allontandosi sconfitto dall Pietra dei Re.
"Perché è stato mandato Cumain per primo?" chiede risentito Mochta "Non è giusto! Se non fosse stato per Emeroth non si sarebbe riusciti a recuperare la Pentola di Taran".
"Forse non sarà giusto, mio giovane amico" rispose sornione Tanai "ma sicuramente è stato più saggio. Era chiaro che Cumain stava uscendo sconfitto dall'ordalia e non nutrivo più dubbi che non sarebbe stato capace di arrampicarsi sulla Pietra dei Re. Se però non l'avessi fatto provare lui mi avrebbe sicuramente rinfacciato di avergli sottratto ciò che gli spettava. Così invece, ora, la sconfitta di Cumain è sotto gli occhi di tutti, compresi i suoi".
Emeroth respira profondamente mentre si costringe a ripensare agli eventi che l'hanno portato, oggi, di fronte alla Pietra dei Re. Non se lo sarebbe mai aspettato. Era stato allevato come un figlio da Connor, educato dal suo campione Fergus, lo avrebbe atteso un luminoso destino all'interno del Ramo Rosso; poi la Caccia al Cinghiale Bianco lo aveva portato lontano da Re Connor e da quel futuro che, forse, l'avrebbe visto come nuovo campione e successore di Fergus; aveva deciso di voltare le spalle a Connor e a diventare Emeroth il vaccaro tra il risentimento del padre e lo stupore della gente; solo ora, e quasi suo malgrado, si trova di fronte alla Pietra che gli svelerà il suo Destino.
Una sottile pioggia comincia a bagnare la superficie della Pietra dei Re. Emeroth posa dunque la mano destra sulla pietra ed una piccola scossa gli risale il braccio.
La tempesta infuria mentre Re Emeroth, più vecchio, il volto incorniciato da nuove rughe ed una barba più folta, urla selvaggiamente per incitare il suo popolo alla battaglia contro i suoi nemici: i pitti.
Emeroth ancora scosso afferra la Pietra dei Re con la mano sinistra.
La terra si apre sotto i suoi piedi ed un'ernorme verme esce dalle viscere della terra. La bestia si agita ed è veramente spaventosa perché la sua potenza distruttiva deve essere terribile.
Con un balzo Emeroth è accucciato con un piede sopra la Pietra.
Emeroth guarda il mondo da sotto la superficie dell'acqua. Una barca si agita sopra di lui mentre una pietra cubica viene lasciata cadere dall'imbarcazione. La pieta passa accanto ad emeroth mentre si immerge nelle profondità dell'acqua.
Emeroth è ora sulla Pietra dei Re, deve solo ergersi e reclamare il suo titolo.
Una casa va a fuoco mentre un bimbo, ricoperto di sangue, piange senza sosta. Il piccolo ha i capelli bianchi e la carnagione pallida; Emeroth non può non riconoscere le sue fattezze in quel volto.
"Emeroth Re!" acclama per primo Moctha con la sua giovane voce ed un boato si alza nella pianura mentre Emeroth si volta in tutte le direzioni, le braccia alzate e le mani aperte alla pioggia del cielo. L'uomo è incredulo e scosso ma capisce subito che ora è Re e che dovrà essere forte non solo per sé stesso, ma anche per il popolo che è chiamato a guidare.
Arriva subito l'araldo a porgergli la sua spada, quella che mastro Felab aveva forgiato per lui, e lo stendardo del clan. Emeroth li alza sopra la sua testa, in alto, mentre una sensazione di stordimento gli sale alla testa.
Maleya è in balia dell'ira di suo padre, Lehin il Cacciatore.
"Tu hai fatto cosa?" continua a ripetere il Tuatha anche se ha capito bene cosa abbia fatto la figlia, aiutando i due mortali a raggiungere l'antro dei Cupel. La ragazza cerca di difendersi come può ma in realtà le è chiaro che niente di quello che ha da dire potrà aiutarla in questo momento. Da una parte, con volto impassibile, Lavahi assiste alla scena. Maleya è sicura che sia stato il servitore ad aver dato qualche informazione di troppo a suo padre; la ragazza non avrebbe voluto rivelare molti particolari della sua recente assenza, consapevole di essersi coinvolta in un'impresa che non avrebbe ricevuto il plauso di suo padre, ma non può sottrarsi alle domande dirette del Cacciatore.
Il Cacciatore è allibito dall'entità del danno che è stato provocato ma al contempo continua a ripetere a Maleya che i Tuatha de Danann non devono mescolarsi agli Uomini; però nonostante le sue parole e le sue raccomandazioni Maleya non è mai riuscita ad erigere quella barriera che suo padre voleva mettere tra lei e gli uomini.
Quando Lehin è stanco della discussione permette infine a Maleya di congedarsi. La ragazza è stanca e affranta ma al contempo è arrabbiata. Lavahi la raggiunge dopo poco con il dichiarato intento di consolarla per le aspre parole del padre. Maleya però non ha intenzione di stare a sentire quel delatore nonostante ci sia qualcosa nel suo tono che lasci intendere che lui non voleva, lui non sapeva... Maleya si alza e si allontana dalla casa di Lehin mentre il servitore rimane attonito dietro di lei: le è chiaro che voleva essere costretto a parlare della faccenda, raccontandole come e perché era venuto a sapere della sua vicenda con gli uomini, ma la giovane non vuole dargli questa soddisfazione, non vuole cedere a quella piccola trappola.
"Me ne andrò a sbollire per qualche giorno" pensa Maleya imbracciando il suo arco e gettandosi di corsa nel bosco. Attorno a lei il bosco si fa indistinto nella sua corsa mentre la ragazza visita così i suoi luoghi preferiti. Ma poche ore dopo il silenzio della solitudine è interrotto dall'arrivo di una preda braccata e in fuga. E' il piccolo Nap, il servitore-lepre di Lehin che sta fuggendo dal pericolo. L'animale è ferito, è stato sicuramente colpito di striscio da una freccia e sanguina copiosamente. Lontano dalla sua preda sta arrivando il suo cacciatore. Maleya fa cenno all'animale di raggiungerla ma la piccola lepre, guardatala, rifiuta il suo aiuto e se ne scappa via in una direzione. La giovane non si perde d'animo e nel poco tempo che ha a disposizione copra le tracce dell'animale utilizzando una fronda e poi si lancia in un'altra direzione. Con suo sgomento Maleya capisce di avere il cacciatore ormai vicinissimo e si nasconde, immobilizzandosi per evitare che una freccia la raggiunga attraverso la vegetazione; l'uomo che emerge dal bosco è biondo, con i capelli lisci, il volto affilato e il naso ricurvo. Si tratta di Ronan, il Signore del Dun Felab. L'uomo è invecchiato ma mostra chiaramente i segni di una certa ricchezza passando vicino a Maleya ancora nascosta. Il cacciatore non rileva la presenza della ragazza e passa oltre; dopo poco il bosco è di nuovo tranquillo e Maleya può riprendere a respirare tranquillamente. Ma il leprotto si presenta di nuovo alla giovane: è stanco e indebolito dalla perdita di sangue.
"Mia Signora! Devi portarmi da lui" sussurra la bestiola "devi portarmi da Emeroth!".
Re Emeroth intanto ha indetto il suo primo Consiglio dei Padri. In segno di continuità con l'autorità di Re Connor, Emeroth organizza il Consiglio all'interno dell'Emayn di Connor. Molti intervengono e l'agitazione è tanta: ancora una volta sono i racconti delle razzie e scorribande di pitti a tenere banco. Emeroth ascolta tutte le lamentele e le richiesta, accettando la sua nuova responsabilità, ma con una parte del suo cervello è ancora incredulo all'idea che tutte quelle persone si aspettano da lui una soluzione ai loro problemi. Mentre le udienze si susseguono ed Emeroth rimane impassibile, valutando il da farsi, Cumain si fa sempre più insofferente: non tollera che i Pitti non siano ancora stati sconfitti e riacciati. A fine serata, quando ormai tutti hanno potuto esprimere le loro lamentele al Re, Emeroth rimane solo con Tanai e Cumain. Emeroth, sfinito ed ancora senza l'ausilio di un druido che sostituisca Cathbadh, vorrebbe almeno il conforto di sua moglie Alesaien e poter abbracciare suo figlio, ma la sua famiglia è tornata al Dun Felab, schivando così tutta quella folla che il Consiglio dei Padri impone.
"Ti devo parlare, solo" dice Cumain guardando Emeroth negli occhi. Emeroth vorrebbe rimandare ma sa di non potere rifiutare quel colloquio e d'altrocanto non vuole indispettire Cumain che, nonostante tutto, rimane una figura appoggiata e stimata da molti celti.
"Lasciaci soli Tanai" chiede infine Emeroth.
"Emeroth, i nostri destini sono ormai legati l'uno all'altro" esordisce Cumain.
"Sì, sappiamo entrambi che dobbiamo fermare i pitti" risponde arrivando al punto Emeroth.
"Non ce la faremo mai soli" riprende Cumain ed Emeroth rimane stupito nel sentire quella dichiarazione. Ma Cumain non ha intenzione di rivolgersi ai Tuatha come ha fatto Fergus. Con sguardo spiritato e voce rotta dall'emozione Cumain ammette di sapere che i Pitti avevano un'alletao non umano, ma non vuole approfondire la questione apertamente.
"Emeroth, non abbiamo scelta, dobbiamo risvegliare i Vermi della Terra. Li abbiamo soggiogati nei tempi che furono e loro ci odiano per questo, e ci temono. Possiamo richiamarli e costringerli a servirci".
"Di cosa parli?" chiede stupefatto Emeroth, con un'inquietudine che lo assale sempre più.
"Vieni con me, vieni a risvegliarli e comandali" propone Cumain con un mezzo sorriso sulla bocca, come se avesse trovato la soluzione a tutti i loro problemi e fosse ora fieramente in attesa che lo si segua riconoscenti.
"Ci sono altre priorità ora" prova ad eludere Emeroth "e poi tu li sapresti forse evocare?" chiede poi.
"...Sì... ma dobbiamo fare in fretta, ogni giorno che aspettiamo potrebbe essere troppo tardi. Fai in fretta Emeroth, io non potrò tenerlo nascosto a lungo".
Cumain lascia la sala del Re ed Emeroth ha bisogno di vederci chiaro e del conforto di un'amico. Raggiunge così Tanai e gli confida quanto Cumain gli ha chiesto con fare spiritato. "I Vermi ha detto?" dice Tanai "Sono le creature che dormono sotto la Porta dell'Abisso e sotto l'Isola di MacLeod. Sono il popolo dei Fir Bolg; coloro che abbiamo relegato sotto la terra, al pari dei loro fratelli Cupel, scacciandoli da Erin ere fa".
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