Friday, September 01, 2006

le frecce del cacciatore


Tutto il paese assistette alla partenza di Emeroth e di Cumain dall'Emayn McFinn. Cathbadh il druido presidiò la partenza insieme a Tanai: i due avevano scelto infine la prova per l'ordalia che avrebbe deciso il nuovo Re; si trattava di un viaggio attraverso il sentiero abbandonato che conduce alle sponde del lago dove, in tempi non troppo lontani, sorgeva l'Emayn dei McFinn prima che il lago stesso non si è prosciugato costringendo i celti a trovare un nuovo posto dove costruire le proprie case.
"Un uomo dalla pelle d'ombra vi condurrà verso il vostro obiettivo" li ammonì Cathbadh "dovrete recuperare quanto è stato sottratto al nostro popolo dai Tuatha: ciò che restituisce la vita ai morti, ciò che conduce al mondo delle tenebre, ciò che rievoca gli eroi del passato".
Mentre i due aspiranti condottieri lasciavano l'Emayn il piccolo Moctha si avvicinò ad Emeroth porgendogli in dono una picca lucertola scolpita nella quercia.
"Ti porterà fortuna nella tua ricerca" disse Moctha a colui che considerava uno zio.
Emeroth e Cumain si avviarono dunque sul vecchio sentiero e presto le ombre si allungarono costringedoli ormai, a tarda notte, a sostare per un breve riposo. I due parlarono poco ma entrambi pensarono ai tempi travagliati, raccontati dai vecchi, della migrazione del loro popolo a causa dell'infertilità della terra dovuta al prosciugarsi del lago.

Il villaggio rimase in attesa del ritorno del re; solo Moctha si agitava impaziente, come se dovessero tornare da un momento all'altro. Per placare la propria inquietudine il bimbò andò a far visita a sua zia Rhian. "Moctha sta crescendo" pensò Rhian vedendolo arrivare mentre allattava al seno suo figlio. La guaritrice aveva ancora negli occhi la fine della battaglia dove morì Connor: Moctha si aggirava per il campo di battaglia, con gli occhi sgranati, ma seguendo fedelmente il suo signore Olkan. L'uomo ricompose i corpi senza vita del fratello e del padre, sollevò la spada che era appartenuta al fratello maggiore e la porse a Moctha. "E' ora di fare di te un guerriero. Porta questa spada con onore".
Moctha chiese alla giovane madre se sapeva qualcosa di più riguardo alla prova che attendeva Emeroth ma Rhian non seppe rispondergli e non riuscì neppure a nascondere la sua preoccupazione: "Giorni fa ho parlato con Cathbadh ed il druido mi ha confidato di non avere scelto lui l'ordalia, ma poi non ha voluto spiegarsi meglio...".

Moctha, sempre agitato ed impaziente si mise a seguire i movimenti di Cathbadh. Il druido si diresse al di fuori dell'Emayn, verso un albero che pochi giorni prima era stato colpito da un fulmine. Il druido stava preparandosi a leggere qualche presagio, armeggiando con polveri, ciotole e piccoli animali morti. L'uomo pareva accigliato e poi, d'un tratto, persino sconvolto: qualcosa di quello che aveva visto l'aveva fatto trasalire: "No! Non posso aver sbagliato" disse infine a voce alta svuotando il contenuto della ciotola sull'erba fresca (che avvizzì immediatamente), poi voltandosi a grandi passi, senza recuperare il suo armamentario, si diresse di nuovo verso l'Emayn: era diretto alla dimora di Tanai per confidarsi con lui: "Sono in pericolo di vita!" disse senza troppi preamboli "Uno spirito malvaglio li sta seguendo".

Brulla, spaventosa, inquietante e sterile, la grande conca che fu un tempo un lago si aprì di fronte ad Emeroth. Non c'erano animali, solo un vento freddo ed insistente. Il popolo celta aveva però costruito la sua casa in quel luogo e la sua impronta era ancora percepibile. Il vento si smorzò quel tanto che bastava da far iniziare una fredda, noiosa, pioggiarella.
"Fermiamoci là" propose Cumain.
Poco distante, Maleya notò stupefatta la presenza dei due uomini: "Non vengono mai qui!" pensò, notanto che i due sono a piedi. La bimba vedeva di buon occhio la presenza di intrusi in questo territorio che appartenva ormai al popolo Sidhe e si mise alla ricerca di serpenti da scatenare contro i viandanti, per indurli ad andarsene. Maleya estrasse il suo piffero ammaliatore...
Uno strano sibilo si alzò tra il fischio del vento intorno ad Emeroth e Cumain.
"Questo posto non è sicuro" avvertì Emeroth.
"Serpi!" rispose scocciato Cumain e con un colpo della sua spada ammonì una bestia a girare al largo.
"Andiamocene da qua" conclusero entrambi.
"Ha funzionato!" sorrise Maleya compiaciuta, poi decise di seguirli per vedere che avevano intenzione di fare.

Moctha corse a perdifiato. Correva per andare ad avvertire Emeroth (ed anche Cumain, in un angolo della sua mente) del pericolo imminente. Era entrato nella dimora di Tanai incurante di tutto, giusto in tempo per farsi affidare da Cathbadh il compito di cercare i due ed avvisarli. "Tieni questi" disse il druido porgendogli dei monili che si era tolto di dosso "Non so se basteranno a proteggerli, ma tu portali". La via fu dura e difficile ma Moctha non si perse d'animo, arrivando così al lago prosciugato in meno di quanto non avevano fatto i due guerriri di cui, però, non vi era traccia.

"Chi va là?" chiese Cumain "Ho visto qualcosa nella nebbia" avvisò quindi Emeroth, ma la nebbia era davvero fitta. I due estrassero le loro spade continuando a guardasi attorno frastornati. Il suono di una campanella arrivò quindi ai loro orecchi, trasportato dal vento. Cumain era molto teso. Un ruomore di sciabordio si aggiunse ai campanelli: i due, persi nella nebbia, dovevano essere scegli fino alla costa.
"Ci manda Cathbadh il druido" disse Emeroth "Chi sei tu?"
"Cathbadh? Bene, allora voi siete coloro che devo portare verso il vostro Destino" disse una voce cavernosa. Un uomo alto e dalla pelle scura, ammantato in vesti nere come la notte, arrivò presso di loro a bordo di una piccola imbarcazione munita di campanelli.
"Andiamo" disse Emeroth rivolto a Cumain, ma c'era una traccia di dubbio nella sua voce mentre il suo compagno afferra la barca per salirvi per primo.

Moctha vide infine i due guerrirei: sull'orlo di un precipizio, di fronte al lago prosciugato. Forse disorientato dalla nebbia Cumain fa un passo nel vuoto.
"Emeroth: no!" urlò a squarciagola Moctha. Emeroth percepì vagamente la voce nell'aria, quel tanto che bastava da intuire il pericolo imminente: appena in tempo però da afferrare Cumain salvandolo da morte certa.

Maleya intanto osservò gli uomini da lontano; temeva quello che stava per accadee: riconobbe lo spirito sopraggiunto dalle nebbie, lo spirito che stava ammaliando gli uomini: zio Lugh aveva parlato a quello spirito proprio il giorno prima e lei aveva sbirciato timorosa quell'incontro. Maleya temeva lo zio e i suoi complicati piani, ma quei due le fecero pena: raccolse così un sasso e lo lanciò nella direzione dello spirito. Il sasso attraversò il corpo etereo dello spirito ma fu sufficiente a distrarlo quello che bastava per interrompere la sua malia. Moctha intanto arrivò in soccorso di Emeroth e i due risollevarono Cumain dal precipizio, ancora sconvolto per l'accaduto.
"Cathbadh ci sta mandando a morire!" disse in preda all'ira Cumain, ma quando Moctha spiegò loro l'accaduto il guerriero non si fece troppo scrupoli ad accettare i talismani del druido.
"Toniamo indietro: il vecchio non sa più leggere nei presagi!" disse Cumain ancora sudato.
"Lasciamo passare la notte, decideremo domattina" disse più saggiamente Emeroth cercando un posto dove ripararsi dal tempaccio.

Maleya continuò ad osservare gli uomini dormire: adesso si era aggiunto anche quel cucciolo che, tutto sommato, l'attirava e le ispirava simpatia. Quando infine fu il turno di Moctha a montare la guardia la bimba decise di uscire allo scoperto.
"Ciao!" esordì semplicemente facendo sussultare Moctha. Il ragazzo la guardò incuriosito e per niente spaventato. I due guerrieri intanto continuarono a dormire nonostante i loro affinati sensi.
"Io mi chiamo Maleya e tu?"
"Moctha e sono un guerriero celta" rispose con orgoglio il bimbo.
"Lo vedo... ma cosa ci fate qui?" si informò Maleya interessata più alla visita degli uomini piuttosto che al loro rango.
"Il nostro druido ci ha mandato a cercare una cosa che appartiene al nostro popolo".
"E che vi ha detto per l'esattezza?"
"Di seguire l'uomo dalla pelle d'ombra, ma si è rivelato uno spirito malvagio" rispose preoccupato Moctha.
"Forse non si riferiva allo spirito ma a quelle" disse Malya indicando delle iscrizioni rupestri.
Si trattava di antiche pitture disegnate sulle pareti della caverna: erano le storie del Cacciatore, dipinte di nero. Il Cacciatore brandiva un arco e, con le sue frecce, indicava l'interno della caverna.
"Questo sentiero però è altrettanto pericoloso" avverte Maleya "passa attraverso il paese dei Cupel: esseri di pietra molto pericolosi".

Al mattino Cumain si svegliò per ultimo trovando Emeroth a discutere con la curiosa ragazza. Emeroth era già stato messo al corrente delle iscrizioni rupestri che indicavano il sentiero verso la loro meta. Cumain però era poco propenso a proseguire, nonostante le rassicuranti luci del mattino. Di fronte però alla baldanza di Moctha e la curiosità di Maleya non potè tirarsi indietro: che razza di figura avrebbe fatto a ritirarsi di fronte ad una ragazzetta? Cumain provò ad interrogarla per capire chi fosse e da dove venisse ma la giovane non si lasciò intimidire, ma si propose anzi come guida. Sospettoso e controvoglia Cumain non poté che accettare.

Alcune frecce dipinte nella roccia indicarono il percoso al piccolo gruppetto. Il cammino però si fece presto buio e difficile, spingendosi nelle profondità della terra. I quattro arrivarono infine presso un grande tunnel ch si gettava nell'oscurità più profonda; alcuni scalini segnavano la straa ma erano evidentemente a misura di gigante e non di uomo; le frecce, però, indicavano chiaramente quella direzione.
"Queste rocce sono state scavate dalle poderose mani dei giganti di pietra" li avvertì Maleya "parlate piano ora".
"Feilhelm mi ha parlato dei Cupel, ma non erano amici degli uomini: divorano gli esseri viventi per puro divertimento" ribatté Moctha "loro ci odiano: non ci stai portando da loro, vero?"
"Io vi porto solo dove ci indica il Cacciatore. Ora fate piano!"
Ma Emeroth mise un piede in fallo nell'oscurità e cadde lungo disteso. A stento trattenne un urlo: si era ritrovato faccia a faccia con i resti di uno scheletro. E' quel che restava di un guerriero celta: pochi abiti, un elmo e lo scudo spaccati, una pelliccia. Nessun segno particolare indicava il clan di appartenenza. Una borsa e una spada pendevano dal fianco.
Ripreso il controllo Emeroth propose di dare degna sepoltura allo sventurato tumulandolo.
La salma venne così ricomposta ed Emeroth si accorse che la borsa era estremamente pesante per le sue dimensioni. Maleya diede di soppiatto un'occhiata e notò che conteneva un grosso oggetto voluminoso, avvolto in un panno. Maleya e Mocta si scostarono dal cadavere per svolgere il panno: sembrava una pietra squdrata, nera, lucida, più o meno cubica e ornata da fregi che esprimono riti perduti, fregi chiaramente non celtici, operati da mani goffe. Intervenne però Cumain che richiuse la borsa e la tolse dalle mani dei ragazzi. Secondo Maleya quello potrebbe essere l'artefatto che i celti stanno cercando ma Mochta appariva poco convinto. Emeroth, terminato il tumulo, spese qualche parola per accomiatarsi dallo spirito del defunto prima di lasciarlo alla sua pace.

Il tunnel continuò e solo dopo un tempo indefinibile tutti avvertirono chiaramente il rumore di uno sgocciolio sotteranneo. Il gruppo era giunto ad una grande cavera che si apriva su un lago sotterraneo. La sensazione di essere osservati assalì Maleya che teme che, al di fuori del cono di luce delle loro torce, vi fossero creature nemiche; tutto il luogo aveva un aspetto decisamente sinistro.

"Guardate là!" fece Cumain indicanddo una roccia poco distante. Il cacciatore nero dipinto sulla roccia raccoglieva le proprie frecce.
"Siamo arrivati!" disse Maleya ed Emeroth si avvicinò all'immagine per osservarla meglio ma subito si udirono i rumori di vari ciottoli che rotolavono tutti intorno.
"Cathbadh è un vecchio pazzo!" esplose Cumain "dove ci ha mandato? Cosa vuole da noi?"
"Vuole un Re, Cumain" rispose sprezzante Emeroth.
"No! Vuole per sé il comando e ci ha mandato qui a morire" rispose Cumain.
Emeroth alzò la voce per regarguire Cumain per le sue parole irriverenti, incurante delle ombre che si addensavano intorno a loro. Quando Emeroth si zittì gli echi innaturali della sua voce riempirono l'aria.
"Continuiamo l'esplorazione" comandò infine Emeroth. Il centro della caverna si fece sempre più profondo mentre intorno si odevano bisbiglii rochi che sembravano chiamarsi e rispondersi.
"Sbrighiamoci: sento i loro occhi su di me!" disse Cumain poco prima che Maleya cacciasse un piccolo urlo: la ragazza era caduta, storcendosi malamente una caviglia.
"La pietra! Si è mossa" disse allarmata la ragazza mentre Moctha si dirigeva in suo aiuto con una delle fonti di luce.
"Noi continuiamo!" ordinò fermo Emeroth a Cumain. Emeorth aveva notato un baluginio al centro della caverna, al di là della piccola spiaggia che segnava l'inizio di un lago sotterraneo. I due guerrieri procedettero così verso il centro del basso lago, procedendo, per quanto possibile su una lingua di terra che fungeva da banchina naturale. Una roccia cadde dal soffitto, poco lontano dai due guerrieri. Arrivati al termine della banchina Emeroth vide di nuovo lo scintillio: una specie di arco di metallo a pelo d'acqua aveva risposto alla luce della loro torcia.

Procedendo da una roccia all'altra, Cumain ed Emeroth si avvicinarono sempre più allo strano oggetto abbandonato sotto l'acqua. Emeroth capì quindi che l'arco di metallo che mandava il bagliore è ciò che stanno cercando: è la bocca della magica pentola della mitologia celtica. Il cibo cucinato nella magica pentola non finisce mai ma non solo: i morti che vi vengono immersi ritrovano una nuova vita. Emeroth e Cumain si gettarono nell'acqua densa e vischiosa, ma non più alta del loro inguine. I due correvano verso la pentola e giunti provarino a sollevarla ma la pentola era pesantissima.
Un rumore provenì dalle loro spalle.
"Stanno arrivando, senti il loro rumore nell'acqua?" avvertì Cumain.
Emeroth e Cumain con uno sforzo sovrumano riuscirono infine a smuovore la pentola, svuotandola della nera acqua del lago: un uomo solo non sarebbe mai riuscito nell'impresa. Ma prima che i due possano esultare una gigantesca mano sbucò dall'acqua nel tentativo di riafferrare il paiolo che brilla, come nuovo, alla luce della torcia di Emeroth. La mano non riuscì ad afferrare la pentola solo di un soffio.
"Tira!" disse Cumain "Corriamo" e i due fuggirono verso la riva ma presto sono costretti a fermarsi: un'ombra li stava sovrastando. Una pietra cadde dall'alto, schivata a fatica dai guerrieri. Cumain sfoderò la propria spada e tentò di infliggere un colpo all'avversario con il solo risultato del sordo rumore vibrante del metallo sulla roccia. Cumain ritrasse il braccio intorpidito dal dolore, poi, occhieggiando verso Emeroth i due riuscirono ad aggirare la lenta figura prima che questa potesse scagliarsi di nuovo contro di loro.

Intanto Mochta aveva ricondotto Maleya presso il nero cacciatore, ma odendo i rumori di battaglia si sentiva in dovere di andare a soccorrere anche Emeroth. Cumain ed Emeroth però riuscirono a farsi strada verso terra, schivando fortunosamente altre pietre che sempre più frequentemente continuavano a cadere sempre più vicino a loro. Il lago quasi sembrò ribollire. A terra però fu quasi peggio: il rotolare delle pietre era spaventoso. Poco prima di mettere il piede sulla terraferma Cumain fu raggiunto alla spalla da una pietra. Il guerriero cadde in acqua ma Emeroth, lasciando il paiolo a riva, si voltò per andare a recuperare il compagno prima che questo morisse affogato. L'acqua si sollevo di fronte a lui: la gigantesca figura di pietra stava per colpirli con i suoi pugni chiusi. Emeroth riuscì però a scansare anche questo colpo trascinado con sé il semiincoscente Cumain: l'onda d'urto li spostò però di due metri, sbattendoli contro la riva. Cumain riprese i sensi e senza fiatare si rimise in piedi, afferrando la pentola e continuando la sua corsa verso la luce di Maleya. A dar loro manforte arrivò anche Moctha, per aiutarli a spingere il pesante paolo. Il frastuono si fece terribile: i cupel erano adirati per quella intrusione e lanciavano pietre contro i fuggitivi. Maleya capì che i cupel si stavano facendo troppo vicini così, facendosi coraggio, lanciò la propria torcia nella loro direzione. La luce stordì effettivamente le creature ma la visione fu davvero terrificante.

Il gruppo riuscì però a scappare via dalla caverna. Emeroth e Cumain procedevano spediti, ma Maleya, con la storta al piede procedeva a rilento. Cumain spazientito tornò sui suoi passi e scossa la ragazza per la spalla le urlò contro di portarli subito fuori da quel luogo. La ragazza lo guardò stordita e indicandogli le frecce dipinte sul muro gli mostrò il cammino da seguire. I quattro proseguirono ancora nella loro fuga ma infine riuscirono ad intravedere la luce del giorno: la dove i cupel non potevano più raggiungerli.
"L'abbiamo ritrovata!" disse infine Cumain con una strana voce "ma a che prezzo? Il risveglio del popolo di pietra?"

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