l'attesa e il patto

Ora si trova nell’aula dell’accoglienza del suo Dun, circondato dai parenti e ripensa a suo padre morto al fianco di Re Connor, insieme a molti altri congiunti. La famiglia è rimasta pur sempre numerosa: i suoi otto cugini sono come fratelli per Olcan, senza contare i due fratelli veri e propri, e i due zii rimasti in vita, diversi come il giorno e la notte e in effetti in continuo litigio.
Il messaggero proveniente da Dun Iboar, vicino al loro, ha portato notizie di un attacco in corso, e i preparativi per partire sono quasi conclusi, ma la notte ora è fin troppo vicina.
«Vedrete che Re Emeroth arriverà in tempo» ribadisce Olcan per l’ennesima volta rivolgendosi ai due zii.
Suo zio Maon, dalla voce tonante non è d’accordo ed ha già espresso questo concetto più volte «Dobbiamo partire ora, Olcan, convinciti e dillo tu a tuo zio»
«Non faremo niente finché non arriverà Re Emeroth» Olcan si mostra inflessibile ma lo zio scuote la testa: «Lo tiri in ballo fin troppo spesso. Se arriveremo a battaglia conclusa cosa diranno di noi e del nostro valore i canti dei bardi?»
Olcan è serio, ma controlla il tono di voce: «Ho fiducia in Re Emeroth e gli sono fedele, così come tu sei... amabile... con Cumain. Ricordati che l’onore del nostro clan è legato alla fedeltà al nostro Re», al che’ Maon non può che essere d’accordo, anche se di malavoglia: «Ma certo, ma certo... sembra di sentire tuo padre. Sei il signore del Dun, faremo come dici»
Olcan chiude definitivamente il discorso: «Se fremi per sciogliere le briglie va’ a cercare Moctha, piuttosto», ma lo zio ride, senza prenderlo sul serio; in effetti non ha mai avuto molta considerazione di Moctha, probabilmente solo perché il ragazzo è straniero e non della famiglia.
Maleya si ferma indecisa: davvero ha avuto l’ardire di rubare la pelle di lupo a suo padre, per di più sotto gli occhi di Lavai, il suo cortigiano più viscido? Bhé, le cose o non si fanno o si fanno bene, perciò ora questa pelle va portata al Re degli uomini, in fondo è quasi sei anni che le ha chiesto un modo per poter parlare con il fratello lupo.
Certo, un cimelio così in mano... vuoi non provarlo? “E poi arriverò prima”, pensa tra se’ e se’ la ragazza indossando la spessa pelliccia. Sotto forma di lupo galoppa verso il Dun.
La sensazione di lupo è forte, ma non quanto l’odore ripugnante e tremendo che emana dal Dun che esala il fetore degli uomini. Non c’è nessuno, ma la scia olfattiva non lascia dubbi: sono andati verso nord. Un’unica, rapida sosta per la cena a base di coniglio sbranato, poi raggiunge senza sforzo la colonna di uomini in marcia. Individua subito l’uomo accanto allo stendardo, con l’immensa pelliccia bianca, e si affianca al gruppo in corsa, ululando il suo richiamo e sparendo nel folto del bosco.
Emeroth vede il lupo dal comportamento anormale, e subito pensa che si tratti di suo fratello. “Ora non è il momento” pensa, e continua a cavalcare imperterrito.
Il lupo si fa rivedere, e lancia il suo richiamo una seconda volta. «Che sia un presagio, mio Re?» chiede Gharban, l’alfiere a fianco di Emeroth, il quale risponde gelido: «Lascia stare, andiamo»
Il lupo non è contento. E’ venuto a cercarlo apposta e quello neanche viene a parlargli? Lo aspetterà al guado, e il suo prezzo sarà un po’ più alto. “Prezzo di cosa?” si chiede il lupo, un po’ confuso “Al guado. Gli umani dovranno passare di lì e vedranno la mia sagoma. E se ci fosse bisogno, sentiranno i miei artigli e le mie zanne”
Gli esploratori riportano al Re la notizia «C’è un lupo fermo al guado... Sembra un demone, non è normale...» Subito Cumain si offre volontario per uccidere la bestia, ma il Re non gli concede il permesso, con suo grande disappunto: «No, andrò io. E da solo»
Intanto l’odore della notte inebria il lupo, il vento gli porta il profumo di selvaggina e le mascelle schioccano nel buio. “Stasera caccerò e affonderò le zanne nella preda... No... Sì... ma cosa dico? Lupo. No, sono una fata io... una fata!” Maleya si riscuote con uno sforzo di volontà. L’oggetto che ha rubato a suo padre si è rivelato più pericoloso del previsto e all’arrivo di Re Emeroth la ragazza si toglie la pelliccia tornando se stessa, cercando di celare il sollievo.
Emeroth è deluso: non è suo fratello, ma di nuovo quella ragazza delle fate. Il disappunto trapela nella sua voce: «Sei tu, dunque. Ho da fare ora, e non rende neanche lontanamente l’idea di quanto abbia da fare, possiamo incontrarci tra qualche giorno?»
Ma Maleya non è venuta fin lì per farsi trattare male e andarsene senza concludere: «Sono tornata per il nostro accordo, Re degli Uomini. Ti porto notizie, informazioni su tuo fratello: egli è il Signore del suo regno, che si trova ad ovest di qui, ed è in cerca del suo cuore, dato in pegno a qualcuno di potente. In cambio delle mie, voglio un’informazione da te: mio padre è il Cacciatore dei boschi. Scopri chi è mia madre»
“Il Cacciatore?” si stupisce Emeroth ripensando a suo padre Felab e al loro incontro proprio con quello Shide, ma ad alta voce dice solo: «Va bene».
Ma la ragazza non ha ancora finito: «Nessuno può entrare nel regno di tuo fratello e rimanere vivo, solo i lupi, perciò ti ho portato anche questa. E’ una pelliccia fatata che ti muterà in lupo, e non è tua, né lo sarà mai, ma te la presterò e quando avrai concluso me la riporterai. Te la cedo... ma solo in cambio di quella che ora porti indosso»
«NO! Mai»
I due si fronteggiano nella notte, entrambi orgogliosi e in silenzio. Poi il dovere verso il regno si fa strada dentro Emeroth che decide di cedere, riluttante.
Maleya lo guarda andare via e per un attimo sente l’impulso di avvisarlo della pericolosità dell’oggetto che gli ha appena consegnato “Attento a non perdere te stesso dentro il lupo!” vorrebbe dirgli. Ma si morde le labbra, ancora stizzita: “E’ un essere umano. L’ho aiutato già abbastanza, e mi ha trattato pure male. Che se la sbrighi da solo”
Emeroth fa ritorno dai suoi uomini, e il nero dei suoi vestiti senza mantello del Cinghiale bianco spicca più di un fuoco nel buio «Che avete da guardare? In marcia!»
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